Giancarlo Tettamanti – giornalista pubblicista, socio fondatore AGESC

Caro amico,

credo di aver già risposto ad alcune tue osservazioni in modo abbastanza esauriente. E’ evidente che tra noi c’è una impostazione diversa del problema scuola e educazione. Rispondo pertanto con queste sottolineature, che assicuro non sono affatto ideologiche.

Mi sembra fuorviante accettare la distinzione fra scuole pubbliche statali e comunali e scuole private. Tale distinzione sembra voler catalogare la scuola “pubblica” come istituzione protesa verso l’intera collettività, mentre la scuola “privata” viene intesa come soggetto teso al soddisfacimento di interessi limitati. Così come – legislativamente – sembra non corretta la distinzione tra scuola di Stato e scuola dei Comuni.

La scuola gestita dai Comuni – nidi e scuole per l’infanzia – vede tali scuole aggregate al Ministero della Istruzione (PNRR e quindi di fatto responsabilità ministeriale come risulta dal documento recente inerente orientamenti e servizi per l’infanzia), donde viene necessaria una normativa unica. E così la scuola privata (paritaria) è parimenti riconosciuta “pubblica” (L. 62/2000), per cui il discorso “privato” non ha alcun senso.

Quanto sopra chiama in causa il “finanziamento pubblico” di tutto il sistema. Finanziamento che riguarda solo la forma: infatti è un finanziamento “privato”, essendo comunque l’istruzione a pagamento della collettività, che prende forma dalle imposte che gravano sulla generalità dei contribuenti. I cittadini tutti – con le imposte – pagano i costi dell’istruzione e dell’educazione: non si vede pertanto la differenza tra scuole pubbliche statali e comunali, e scuole pubbliche paritarie (la parola stessa ne indica l’equivalenza).

E’ questo il grande paradosso – e la grande menzogna – costituzionale e legislativa che va superata e cancellata. Paradosso che obbliga la scuola “pubblica paritaria” ad accollare a coloro che la scelgono un doppio carico economico (rette in aggiunta a ciò che pagano allo Stato, e ai Comuni, per l’istruzione). E’ questo fatto rilevante che si pone come antidemocratico e ingiusto. In quest’ottica, lo Stato, e suoi organi periferici, è obbligato a sostenere il sistema nazionale di istruzione ed educazione nella sua globalità, sistema che con le scuole pubbliche statali, regionali e comunali, annovera anche le scuole pubbliche paritarie (questo termine indica pari dignità e pari considerazione).

Parlando di istituti scolastici nessuno nega la loro posizione e funzione di servizio: ne consegue, giustamente, che i soggetti di diritto sono gli studenti, coloro che reclamano – come ben dici tu – il “diritto di apprendere”. E lo Stato, se vuole essere giusto, non può fare distinzioni di sorta, deve attendere  a tutti i soggetti in questione, coloro che frequentano le scuole di qualsivoglia grado e di diversa dirigenza operativa, gestendo il gettito economico che raccoglie con tasse e tributi, e distribuendolo con oculatezza e giustizia, dando a tutti la possibilità concreta – non soltanto a parole – di scegliere quale scuola frequentare.

La scuola viene così finanziata direttamente – con il costo standard dato dalla frequenza di ciascun alunno – con le imposte gravanti sulla collettività, e quindi con il “buono” di spettanza a ciascun ragazzo/ragazza frequentante. Questa ipotesi non viene mai messa in discussione. Ne consegue che il guadagno del bambino, dello studente, che ricava dall’istruzione non ridonda solo a vantaggio dello stesso o dei suoi genitori, ma anche vantaggio degli altri membri della società. L’educazione di un figlio contribuisce al benessere di tutti e a promuovere una società stabile e democratica.

Da qui la responsabilità delle famiglie alle quali viene richiesto di adempiere appieno il loro diritto/dovere costituzionale di istruire e educare i loro figli. Se il termine “famiglia”, nel tempo attuale, pone in essere qualche discrepanza, si parli decisamente di “genitori” (papà e mamma, e non genitore1 o genitore 2) che sono i naturali ed insostituibili tutori dei loro figli.

Ne consegue che parlare di  “sussidiarietà” significa evidenziare e capire la funzione dello Stato, il quale non è soggetto di discriminazioni, ma dedito al “bene comune” di ciascuna entità culturale della comunità, cioè dei corpi intermedi. La sussidiarietà non è soggetto che conferma la discrezionalità dello Stato, ma pone lo Stato di fronte ai suoi veri doveri.

Come già detto, è chiaro che i meno abbienti sono i soggetti che vanno aiutati nelle loro scelte, che hanno bisogno di sostegno, tuttavia la categoria dei non abbienti non è circoscritta ai bambini dei nidi e della prima infanzia, bensì è categoria che è presente in tutti gli ambiti dell’istruzione e dell’educazione scolastica. Perciò ripeto che avere attenzione a tutti i non abbienti, non è fatto ideologico, ma fatto concreto di giustizia.

Non solo: lo Stato non deve fossilizzarsi sui termini Pubblico e Privato, ma pensare a scuole serie e scuole non serie, e metterle tutte alla prova dell’Autonomia, consentendo la gestione di una cultura non monopolizzata dall’intervento diretto dello Stato. Prendo in considerazione una frase di Antonio Martino – personaggio indiscusso della cultura e della politica, deceduto pochi mesi fa – che ha evidenziato come “il sistema scolastico attuale è contrario ai valori fondamentali della democrazia, mette in pericolo la libertà, viola le regole di giustizia sociale, e compromette l’efficienza della scuola”: credo che attualmente pochi siano coloro che dissentono su questa immagine di scuola”.

Caro amico, queste sono alcune sottolineature che vorrebbero chiarire meglio il mio – ma non soltanto mio – pensiero. Pensiero che certamente collima con alcune tue ipotesi, ma pongono il problema su una scala più ampia, e ciò in prospettiva di una scuola più efficiente e di qualità, e garante della soggettività di scelta dei genitori e dei loro figli. Si parla di gradualità, ma se questa, già di per sé, è discriminante, non se ne viene fuori. Parliamo sinceramente di gradualità, ma poniamo il problema in misura globale, che copra le esigenze e le necessità di tutti coloro che ne hanno bisogno per esercitare il proprio diritto di scelta.

Con sincera cordialità.  Giancarlo