Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore

I Giochi Olimpici sono, per loro natura, portatori di pace e non di guerra. È con questo spirito che l’Antichità stabilì saggiamente una tregua durante i Giochi e che l’epoca moderna tenta regolarmente di riprendere questa felice tradizione. In questo periodo travagliato in cui la pace nel mondo è seriamente minacciata, auspico vivamente che tutti abbiano a cuore di rispettare la tregua nella speranza di una risoluzione dei conflitti e di un ritorno alla concordia. Che Dio abbia pietà di noi! Illumini le coscienze di coloro che detengono il potere sulle gravi responsabilità che incombono su di loro, conceda agli operatori di pace il successo nei loro sforzi».

Sport, linguaggio universale

In un messaggio all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich, per i Giochi Olimpici nella capitale francese (26 luglio-11 agosto) Papa Francesco rilancia la proposta di una «tregua olimpica» su tutti i conflitti. «Lo sport è un linguaggio universale che trascende confini, lingue, razze, nazionalità e religioni; ha la capacità di unire le persone, di promuovere il dialogo e l’accoglienza reciproca; stimola l’automiglioramento, allena lo spirito di sacrificio, promuove la lealtà nei rapporti interpersonali; ci invita a riconoscere i nostri limiti e il valore degli altri. I Giochi olimpici, se restano davvero “giochi”, possono essere un luogo eccezionale di incontro tra le persone, anche le più ostili. I cinque anelli intrecciati rappresentano questo spirito di fraternità che deve caratterizzare l’evento olimpico e la competizione sportiva in generale. Mi auguro che le Olimpiadi di Parigi siano per tutti coloro che provengono da tutti i Paesi un’occasione imperdibile per scoprire e apprezzare sé stessi, per abbattere pregiudizi, per creare stima dove trovano disprezzo e diffidenza, amicizia dove trovano posto disprezzo e sfiducia è l’odio».

Le guerre non cessano di spirare

L’esercito israeliano chiama alle armi circa mille giovani ortodossi tra i 18 e i 26 anni. In Ucraina si è conclusa anche la missione di pace del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, con una dimensione spirituale ma anche con un profilo politico. La visita è la risposta alla ripetuta richiesta ucraina di ricevere un’alta autorità vaticana. A dire il vero il desiderio era di ospitare la visita del Papa. Ma Francesco ha sempre detto che si sarebbe recato in Ucraina solo se avesse avuto l’opportunità di visitare anche la Russia. Ma da Mosca tutto tace e l’invito di Putin e di Kirill non è mai arrivato. La santa Sede è cosciente che in questa guerra c’è un aggressore-invasore, la Russia di Putin, e un aggredito-invaso, l’Ucraina libera e desiderosa di agganciarsi sempre più all’Europa. Dall’altra parte del mondo il candidato repubblicano alla presidenza Usa Donald Trump ha fatto un discorso allucinante. Sul palco di Milwaukee definisce quella del prossimo novembre «una vittoria incredibile»; rivendica per sé il ruolo di salvatore della democrazia; garantisce che riporterà la pace nel mondo «con un colpo di telefono». Dopo l’attentato proclama «sono salvo perché avevo Dio dalla mia parte»; si definisce un combattente e alza il pugno in aria gridando «Fight, fight, fight, combatti, combatti, combatti», divenuto il motto dei repubblicani. Promette di tagliare le tasse, di estendere le trivellazioni petrolifere, di completare il muro al confine con il Messico e annuncia «la più grande deportazione della storia. L’immigrazione è un’invasione massiccia al nostro confine sud che ha diffuso miseria, criminalità, povertà, malattie e distruzione nelle comunità».

Athletica Vaticana

Anche l’Associazione sportiva della Santa Sede «Athletica Vaticana» scrive a chi sarà in gara per le Paralimpiadi: vivete e aiutate a vivere un momento di passione in cui accanto al «più veloce, più in alto, più forte trovi posto il valore dell’essere “insieme». Ci sono tanti modi di giocare. Ci sono giochi di guerra che in tante, troppe, zone del pianeta sviluppano l’«agonismo» ammazzando e distruggendo. E ci sono i Giochi con la maiuscola, quelli in cui un tempo le guerre si spegnevano, quelli per cui si spera avvenga lo stesso con la tregua olimpica invocata già dal 13 gennaio dal Papa e che ora ritorna sul post del suo account @Pontifex: «Mentre la pace nel mondo è seriamente minacciata, auspico vivamente che tutti rispettino la tregua olimpica, nella speranza di risolvere i conflitti e ripristinare la concordia. Che Dio illumini le coscienze di coloro che sono al potere». Le Olimpiadi e le Paraolimpiadi «sono anzitutto storie di donne e di uomini che non riescono a fermare “la terza guerra mondiale a pezzi”, come la definisce Francesco, ma suggeriscono la possibilità di un’umanità più fraterna. Attraverso il linguaggio del dialogo sportivo, popolare e a tutti comprensibile. Senza far mai ricorso scorciatoie e con lealtà, i Giochi possono essere opportunità di speranza, nelle piccole e nelle grandi questioni di ogni persona e dell’umanità. Le Olimpiadi e le Paralimpiadi possono essere strategie di pace e antidoto ai giochi di guerra. Ciò che importa è incarnare i veri valori dello sport: passione, inclusione, fraternità, spirito di squadra, lealtà, riscatto, impegno e sacrificio, sapendo che lo sport non è solo vittoria o sconfitta, lo sport è un viaggio nella vita che non si fa mai da soli».

Giochi di pace mondiale

Nella prefazione del libro «Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi» pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, su iniziativa di «Athletica Vaticana» e curato da Vincenzo Parrinello, il Papa sostiene la proposta di arrivare a una cessazione delle violenze. Nel momento storico particolarmente buio che stiamo vivendo, i Giochi olimpici e le Paralimpiadi di Parigi sono un’opportunità di pace. Ripensando al valore della tregua olimpica – proposta dalle Nazioni Unite – «la mia speranza è che lo sport possa concretamente costruire ponti, abbattere barriere, favorire relazioni di pace. La mia speranza è che possa essere accolto l’appello per una tregua scaturita dal comune linguaggio popolare olimpico, a tutti comprensibile, a ogni latitudine. La mia speranza è che lo sport olimpico e paralimpico possa essere un originale canale diplomatico per saltare ostacoli apparentemente insormontabili».

Da ragazzo correva dietro alla pelota de Trapo

Jorge Mario ricorda l’esperienza del bambino alle prese, per strada, con la «palla di stracci, la pelota de trapo» – e credo che lo sport non debba mai perdere quello stile di semplicità che mette freno alla ricerca smodata del denaro e del successo a tutti i costi. Aggiunge: «Quando si fa sport insieme non importa la provenienza, la lingua o la cultura o la religione di una persona. Questo è anche un insegnamento per la nostra vita e ci richiama alla fraternità tra le persone, al di là delle loro abilità fisiche, economiche o sociali». Il Pontefice pensa alle atlete e agli atleti con disabilità. Sono sempre sbalordito guardando le loro prestazioni e ascoltando le loro parole. Penso alla nuotatrice olimpionica siriana che spinge il gommone in mare aperto fino all’isola di Lesbo mettendo in salvo 18 persone e il nuotatore afghano nato senza braccia che diventa campione paralimpico». «Olimpiadi e Paralimpiadi sono opportunità di pace. Il Papa personalmente e la Santa Sede incoraggiano e sostengono il movimento olimpico e paralimpico. È così fin dal mio predecessore san Pio X che ricevette Pierre de Coubertin e diede vita in Vaticano, tra il 1905 e il 1913, a manifestazioni sportive internazionali con la partecipazione di giovani con disabilità, amputati e non vedenti.

37 atleti rifugiati in 15 paesi

E’ presente la squadra olimpica dei rifugiati. Creata dal Comitato internazionale olimpico (Cio) nel 2015, per la XXXI Olimpiade di Rio de Janeiro del 2016, è composta da 37 atleti che vivono in 15 Paesi ospitanti, e gareggiano in 12 sport: rappresentano oltre 100 milioni di sfollati globale. Molti esperti e storici ritengono che la massima espressione di questo sentimento universale di armonia e pace risieda nel «Refugee olympic team».