Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
Il primo, e finora unico, Sinodo della Chiesa italiana, ha preso avvio nella basilica romana di San Paolo fuori le mura che compie 1700 anni dalla dedicazione, nell’era costantiniana, il 18 novembre 324 a opera di Papa Silvestro I: 17 secoli di ininterrotta vita cristiana.
Un po’ di storia
In questa basilica, affidata ai Benedettini, 65 anni fa, il 25 gennaio 1959, festa della conversione di San Paolo, Papa Giovanni XXIII annunciava il Concilio Ecumenico Vaticano II, che si celebrò – con lo stesso Papa Roncalli e con Paolo VI – dal 1962 al 1965. Questa basilica fu scelta dai Papi successivi per annunci importanti. Non è privo di significato che la Conferenza episcopale l’abbia scelta per la prima assemblea (15-17 novembre 2024) di quello che ha chiamato «cammino sinodale», una novità assoluta in quasi mezzo secolo di post-Concilio, mentre i Sinodi nazionali sono abituali in altri Paesi. Il cattolicesimo italiano ha sempre camminato sotto il mantello della Santa Sede, se si considera che la Conferenza episcopale è stata istituita da Paolo VI 60 anni fa, nell’aprile 1964.
Fare il punto
Alla prima assemblea Papa Francesco indirizza un messaggio. Di fronte a un migliaio di delegati e vescovi, il cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, lo legge in questa prima tappa, mentre una seconda è in programma a Roma il 31 marzo-4 aprile 2025. Fa il punto, Francesco, parlando di «testimonianza di vivacità che si esprime nel cammino, nel coltivare l’insieme e nello stile di apertura per essere discepoli missionari. Non abbiate paura di alzare le vele al vento dello Spirito, che illumina, orienta, rende fecondo il dialogo».
Impegno per il paese
Bergoglio esorta i cattolici italiani a «compiere al meglio il proprio impegno per il Paese» imitando lo stile di Gesù «che sapeva comprendere le sofferenze e le attese delle folle, i loro bisogni materiali e spirituali» ed esorta «voi pastori ad accompagnare con paternità e amorevolezza questo percorso, assumendo con l’aiuto di Dio la responsabilità di quanto verrà deciso». Molto opportunamente il Vescovo di Roma rammenta i convegni ecclesiali decennali che hanno scandito il cammino della Chiesa in Italia – Roma 1976, Loreto 1985, Palermo 1995, Verona 2006, Firenze 2016 – dopo il Vaticano II e ripropone la lezione di San Giovanni XXIII: «Alla Chiesa si richiede di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del Vangelo nelle vene della comunità umana». Perciò «anche oggi siamo inviati a portare il lieto annuncio con gioia».
Monito ai politici
«Chi ha incarichi pubblici porta una responsabilità ancora maggiore perché non deve avere modalità e parole violente e pericolose, dentro una logica di polarizzazione, finendo per cercare solo ciò che divide, pensando così di difendere le proprie convinzioni e considerando addirittura pericoloso amare e difendere ciò che unisce, ovvero la collaborazione indispensabile per affrontare i problemi». È il chiarissimo monito del card. Zuppi, al mondo governativo e politico: «Non dobbiamo mai smettere di lavorare con pazienza e intelligenza per l’unità del nostro Paese, nella laicità e nel pluralismo delle politiche e delle opinioni, ma sfuggendo alla banalizzazione della vita, al nichilismo, all’aggressione e alla contrapposizione come modalità del parlare e del decidere. Le preoccupazioni della Chiesa non sono mai per dividere o alimentare contrapposizioni, ma per fortificare quel bene comune che esiste e che va perseguito e difeso».
Chiesa madre
Zuppi nota che sta emergendo «tanta consapevolezza di essere Chiesa e di essere al fianco di tanta gente» e, parlando di «sobria ebbrezza», aggiunge: «Non dobbiamo aver paura di essere contenti, di portare gioia e di rimetterla in circolo: non abbiamo capito tutto, ma non dobbiamo scrivere un’enciclopedia». Ricorda quello che disse Francesco nel convegno di Firenze 2016: «La Chiesa italiana è chiamata a essere madre tenera nella nostra attenzione e vicinanza a un mondo di individualisti, dove conta solo ciò che faccio io e il “noi” è relativo, cangiante, virtuale». E Zuppi applica: «Dobbiamo avere il culto dell’unità, del “noi”, il desiderio di costruire comunità in una società individualista. Se non siamo famiglia, è difficile che riusciamo ad aiutare le famiglie. La Chiesa sinodale è permeabile alle voci della realtà, anche quando sono dissonanti e disturbanti. Ascoltare significa non restare passivi, non dare ragione a tutti, ma ascoltare tutti, farci toccare il cuore».
Allo stesso tavolo
Tirando le conclusioni, mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena e vicepresidente Cei, sottolinea che «allo stesso tavolo» hanno lavorato uomini e donne, vescovi e preti, consacrati e consacrate, diaconi e laici, giovani e anziani, delegati da tutta la Penisola di diversa formazione, sensibilità, ruolo. «Se a qualcuno sembra che gli argomenti proposti siano troppo intra-ecclesiali è perché il Cammino sinodale si snoda su ciò che deve “cambiare” dentro la Chiesa, per camminare più spedita con l’umanità del nostro tempo, cogliendo i frutti dello Spirito e annunciando il Vangelo in maniera più snella. Il testo finale non potrà essere un corposo manuale di temi pastorali, ma un tentativo di sbloccare alcune pesantezze che ora ci affliggono».
Sono presenti 943 tra delegati e vescovi: 4 cardinali, 170 vescovi, 4 abati, 238 sacerdoti, 6 diaconi, 37 religiose e religiosi, 210 laici e 274 laiche. In totale 641 uomini e 302 donne. Assistono 7 rappresentanti di Chiese cristiane in Italia: diocesi ortodossa romena; arcivescovo ortodosso d’Italia ed esarca dell’Europa meridionale; Chiesa copta di Roma; Chiesa apostolica armena in Europa occidentale; Unione cristiana evangelica battista; Associazione Chiesa d’Inghilterra; vescovo presidente Chiesa evangelica della riconciliazione. La Chiesa sinodale vuole essere ecumenica.