Giacomo Ruggeri – presbitero della diocesi di Concordia Pordenone, guida di esercizi spirituali e ritiri del clero
Quando incontro i preti nei corsi di esercizi spirituali, uno dei momenti toccanti è quello del colloquio. È un tempo, ovviamente, avvolto da discrezione, riservatezza e che custodisco con cura, senza nulla svelare. Proprio in questo incontro, però, emerge quella che definisco la «grammatica personale di noi preti». Nello stile degli esercizi ignaziani, ad esempio, il colloquio quotidiano è parte integrante dei giorni di preghiera che il don ha scelto di vivere.
Il ministero pastorale, gioco forza, entra nei giorni di esercizi e nel colloquio. Quella che ne esce è una pastorale centrata molto su “cosa si fa”, sui progetti in campo, sui sogni coltivati e su quelli abortiti. Il più delle volte il risultato pastorale è fatto coincidere con la realizzazione personale (o meno). È una pastorale fortemente intrisa di molta implosione e di rara inclusione. Avverto che c’è la fatica (come linguaggio e come mentalità) a uscire dalla palizzata dell’oratorio, della scuola parrocchiale, del campetto, dei locali della canonica, della sacrestia e della Chiesa. Quella che esce è una pastorale di “casa propria”, più che del territorio.
Con il territorio ci parlo, ci collaboro, ma a partire dalla mia prospettiva e di ciò che interessa a me come prete, come Chiesa, come diocesi, come decanato-forania.
Nel 1994, tre mesi dopo la mia ordinazione di prete, con un gruppetto di educatori siamo partiti per Barbiana. La faccio corta: don Milani invitava tante persone nella canonica del Monte Giovi dove “faceva la vita” (più che la scuola) con i suoi ragazzi.
Ebbene, per la pastorale che verrà, dovremo ri-generare il «mi interessa» di don Milani (I care), nelle barbiane delle nostre parrocchie. Abbozzo alcune ri-generazioni:
- La diversa presenza relazionale della Chiesa oltre la canonica. Nella diocesi che verrà (già ora in tante zone d’Italia è così) sempre più parrocchie avranno canoniche vuote e preti che vivono insieme in una canonica, servendo un ampio territorio. La presenza della Chiesa non sarà più con la canonica abitata o meno dal parroco, ma di una diversa presenza di relazione nel fare Chiesa e nell’essere Chiesa nel territorio e con il territorio.
- Vangelo e fede già presente nel territorio. Dio non lo porta il parroco di turno. E Dio non è solo nel tabernacolo custodito in chiesa. Dio è già presente nelle persone, nei luoghi, nelle realtà sul territorio, in modo inedito e inaudito. Cercare e trovare Dio in tutte le cose, persone, ambienti, forme aggregali inedite è la sfida per la pastorale nella parrocchia che verrà. “Fare-delle-cose” con altri ogni tanto, è ben diverso dal riconoscervi in essi Dio all’opera.
- Accompagnare, prendermi cura, alimentare la domanda di senso. La celebrazione dell’eucaristia, nella pastorale che verrà avrà sempre più il sapore di una sosta feconda di tanti cammini di accompagnamento che come prete e laici ci coinvolgeranno in prima persona, ritornando a masticare il duro pane dell’accompagnare le persone nelle loro svariate ricerche di senso della vita, di Dio, della quotidianità. Se la parrocchia ri-genera questo processo ecclesiale a lei noto, le persone non saranno costrette a cercare altrove.
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