Giacomo RUGGERI – presbitero della diocesi di Concordia-Pordenone, guida di Esercizi spirituali ignaziani, ritiri
Francia. L’Osservatorio per il patrimonio religioso francese nel suo ultimo report dice che una nuova moschea apre ogni due settimane, mentre ogni anno scompaiono tra 40 e 50 chiese.
Belgio. Binche è una città di 32 mila abitanti e la chiesa del Santissimo Sacramento è stata venduta a 1 €. «In alcuni quartieri che oggi hanno una maggioranza di popolazione musulmana è abbastanza comprensibile che le chiese siano meno affollate, quindi potremmo trovare loro altre funzioni» ha affermato il portavoce dei vescovi belgi.
Germania. Recenti dati dicono che nella diocesi di Essen sono state chiuse 105 chiese, 52 sconsacrate e 31 demolite. Nella diocesi di Münster sono state 55 le chiese sconsacrate e 24 quelle demolite.
Italia. Non darò né dati, né statistiche.
Mi soffermo sull’espressione “andare in chiesa”, una frase inquinata.
È accostata a chi partecipa a Messa, in forma divisoria da chi non vi partecipa.
È accostata a chi dice di credere, in forma selettiva da chi non crede, ma semmai crede in altro modo.
È accostata a chi è praticante, in forma militante da chi non pratica, ma pratica Dio diversamente.
È accostata a una fascia adulta di persone, in forma estinta da parte di ragazzi e giovani.
Nella pastorale attuale, e soprattutto in quella che verrà, l’espressione “andare in chiesa” è un boomerang per tutti: parroco, suoi collaboratori, la gente. Per questo dico che non andrebbe usata nel frasario in uso, e non averla nella testa come criterio discriminante, perché è inquinata e tossica, ovvero fa male pensarla, dirla, sentirsela dire “Tu, vai in chiesa?”.
La relazione con Dio non può essere confinata nel ristretto “andare in chiesa” perché è molto più ampia.
Sarà il tempo a dirci se anche in Italia vedremo chiese chiuse convertite in altro; intanto direi di iniziare a disintossicare un certo modo tossico di dividere i parrocchiani (coloro che vengono e non vengono), coniando termini di falsa consolazione pastorale: i fedelissimi, lo zoccolo duro, i più vicini. Per non parlare poi dell’espressione da vecchia guardia “i nostri”.
La gente grazie a Dio non è stupida e se continua a sentirsi ripetere dal proprio don questo tipo di espressioni, o peggio ancora vederle scritte sui bollettini parrocchiali e nei gruppi whatsapp, stiamo certi che la sinodalità sarà lingua da marziani.
Andare al vissuto delle persone lì dove si trovano e come le trovo.
Andare alla storia della singola persona senza censurarla o giudicarla.
Andare per ascoltare e imparare.
Andare per chiedere scusa.
Andare alle persone per scoprire che Dio vive in ciascuna anche senza venire in chiesa.
I mattoni delle chiese servono, certo, ma non salvano, sono di cemento.
Le persone sono di carne; insieme si ci narra Dio con inediti percorsi e vicende.
A essere consacrata, allora, non dovrà essere solo l’ostia (sempre più per pochi), ma anche la storia che Dio celebra lì dove si traffica la vita (con tutti).