Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
Arriva la stretta: non si potranno più celebrare le messe in latino e con il sacerdote di spalle ai fedeli, eccetto casi straordinari autorizzati dal vescovo. Lo afferma papa Francesco nel motu proprio «Traditionis custodes» – con cui riforma il «Summorum Pontificum» di Benedetto XVI – e in una lettera a tutti i vescovi.
Con piglio severo, nella festa della Madonna del Carmine, Bergoglio spiega: «L’intento pastorale dei miei predecessori, proteso al desiderio dell’unità, è stato spesso gravemente disatteso. Per promuovere la concordia e l’unità della Chiesa, con paterna sollecitudine verso coloro che in alcune regioni aderirono alle forme liturgiche antecedenti alla riforma del concilio Vaticano II, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI concessero la facoltà di utilizzare il Messale edito da Giovanni XXIII nel 1962 facilitando la comunione ecclesiale a quei cattolici che si sentono vincolati a precedenti forme liturgiche». Afferma con forza: «I libri liturgici promulgati da Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità al Vaticano II, sono l’unica espressione della “lex orandi”. Spetta al vescovo autorizzare l’uso del Messale del 1962 seguendo gli orientamenti dalla Santa Sede».
Nelle diocesi dove si celebra secondo il Messale 1962 il vescovo deve accertare che i gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Vaticano II e del magistero dei pontefici; dovrà indicare uno o più luoghi dove i fedeli possano radunarsi per la celebrazione – non però nelle chiese parrocchiali – e stabilire i giorni in cui sono consentite tali celebrazioni. Le letture devono essere proclamate in lingua locale e non in latino. Dovrà essere nominato un sacerdote, delegato del vescovo, incaricato delle celebrazioni e della cura pastorale di tali gruppi. Si dovrà fare una congrua verifica sull’effettiva utilità. Non si dovrà autorizzare la costituzione di nuovi gruppi. I sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione di questo «Motu proprio», che vogliono celebrare con il Messale 1962, devono fare richiesta al vescovo che, prima dell’autorizzazione, consulterà la Sede Apostolica. I preti che già celebrano secondo il Messale 1962 devono richiedere l’autorizzazione per continuare.
Scrive Francesco: «Il motu proprio “Summorum Pontificum” del 2007 intese introdurre un regolamento giuridico più chiaro. A distanza di tredici anni l’intento pastorale dei miei predecessori – i quali avevano inteso fare tutti gli sforzi affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente – è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni». Papa Francesco non fa nomi, ma è evidente l’accusa al mondo lefebvriano e paralefebvriano di esporre la Chiesa «al rischio delle divisioni». «Anch’io stigmatizzo che in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura spesso viene inteso come autorizzazione o perfino come obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile. Mi rattrista un uso strumentale del Messale 1962, caratterizzato da un rifiuto crescente della riforma liturgica e del Concilio con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la Chiesa».
Per il pontefice è sempre più evidente «la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al concilio e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni. È un comportamento che contraddice la comunione, alimentando la spinta alla divisione».
Dopo il concilio di Trento (1545-1563) san Pio V (1566-1572) «abrogò tutti i riti che non potessero vantare una comprovata antichità, stabilendo per tutta la Chiesa latina un unico “Missale romanum”». Nel «Summorum Pontificum» (7 luglio 2007) Benedetto XVI ribadisce che il Messale di Paolo VI (3 aprile 1969) «è la base dalla forma ordinaria della celebrazione della messa» ma acconsente, a determinate condizioni, la messa secondo il Messale di Giovanni XXIII (23 giugno 1962).
Il Messale romano del 1962 venne promulgato in attesa della riforma conciliare e non è mai stato abrogato. Che Francesco stesse lavorando su questo tema lo si è capito quando il cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva scritto ai vescovi chiedendo di far pervenire entro il 31 luglio 2020 le risposte: «Tredici anni dopo la pubblicazione del motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI, Francesco desidera essere informato sull’applicazione del documento». Ora si viene a sapere che il 24 maggio 2021 Francesco ventilò la possibilità di riformare in senso restrittivo il «Summorum Pontificum» ai vescovi italiani nel dibattito a porte chiuse dell’assemblea. E il 27 maggio 2021 ha nominato prefetto della Congregazione del culto divino l’arcivescovo inglese Arthur Roche; segretario il biellese Vittorio Viola, vescovo di Tortona; sottosegretario mons. Aurelio García Marcías. Immediate le voci critiche: il cardinale salesiano Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, che ha ripetutamente criticato l’accordo Cina-Santa Sede per la nomina dei vescovi; e il cardinale Robert Sarah, prefetto emerito del Culto divino, che si è sempre opposto a Francesco.