Giacomo RUGGERI – presbitero della diocesi di Concordia-Pordenone, guida di Esercizi spirituali ignaziani, ritiri

Prima o poi si devono ri-scrivere grammatica e termini ecclesiali che si continuano a reiterare nel parlare e nello scrivere, ma che – di fatto – non dicono più nulla alle persone nel tempo attuale e nella pastorale che verrà (ben consapevole che proprio il titolo di questa rubrica contiene il termine pastorale, in progressiva migrazione forzato verso altro).

Pastore

  • Per la gente di oggi che cresce a pane e smartphone, a profili social e a like, a YouTube e influencer, il termine pastore è confinato a chi alleva pecore, fa il formaggio, lo vende al mercato e on line nella rete dell’e-commerce.
  • Il parroco di 50-60 anni fa poteva essere considerato il pastore perché viveva in parrocchia senza mai cambiare sede, conosceva persone e animali. Oggi il parroco riconosce, al massimo, quelli che partecipano alle Messe domenicali e tutti gli altri sono perfetti assenti-anonimi.
  • Oggi la gente non si vuole sentire pecora di nessuno, tanto meno pecoroni al seguito di chissà chi.
  • La gente non conosce e non vuole nessun steccato, né recinto mentale-ideologico dentro il quale stare.
  • Quando ha fame e sete di interiorità (a suo modo e con le sue inedite vie) la gente sa dove andare a sfamarsi. Di certo non più in parrocchia. Il parroco è il ‘fornaio’ di turno al quale chiedere-pagare, eventualmente, cose da fare (Messa, iscrizione al Grest, nulla osta per quel sacramento, cancellazione dal registro dei battesimi sempre più in crescendo).
  • Se il parroco non si sente più pastore, il vescovo non ride. Anche lui si sente come pastore senza più pecore: i preti non si vogliono sentire gregge, ma riconosciuti nella propria identità. L’obbedienza è merce rara tra vescovo e prete. Il vescovo oramai per elemosinare un cambio di parrocchia promette regalie, premi, promozioni e affini.
  • I laici miei collaboratori mi fanno capire che non c’è più il parroco-pastore-padrone, che dà direttive e il laicato esegue, ma si lavora e collabora assieme mettendoci la faccia e mettendo in campo la propria umanità. Cifra che la gente capisce e fiuta subito.

Pastorale

  • Con chi si fa la ‘pastorale’ se non c’è più il gregge?
  • Se sono più ‘pastore’ di anonimi e nel ruolo di parroco-cappellano-erogatore di richieste, a questo punto che senso ha la mia vita di prete? Le recenti uscite di giovani preti in numerose diocesi italiane affondano anche su questo interrogativo.
  • Il termine pastorale è oramai usato per dire tutto e il suo contrario. È un termine senza più midollo spinale. Dunque: non dice più nulla; e i primi a non crederci più della sua incidenza sono i preti, perché la realtà glielo conferma.
  • Che termine usare allora?
  • Non sarà questione solo di quale termine, ma di come ri-trovare la relazione spezzata con le persone di tutti i giorni. Inedite grammatiche e inediti termini si stanno già consolidando nella vita della Chiesa e arrivano proprio dagli assenti. Anche di qui passa il treno sinodale.

dongiacomo.ruggeri@gmail.com