Giancarlo Tettamanti – giornalista pubblicista, socio fondatore AGESC

Il celeberrimo scrittore russo Fijodor Dostojevskij, nel suo romanzo “I fratelli Karamazov”, così scrisse: “Ma vedi codeste pietre, per questo nudo e rovente deserto? Convertile in pani e dietro a te l’umanità  correrà  come un branco di pecore, dignitosa e obbediente, se anche in continua trepidazione che tu ritragga la mano tua  e vengano sospesi loro i tuoi pani. Ma tu non hai voluto privar l’uomo della libertà e hai rifiutato la proposta:  giacché dove sarebbe la libertà – hai ragionato tu – se il consenso fosse comperato col pane? “.  Facile capire il senso di queste parole: “non si vive di solo pane”. E parafrasando questo concetto, possiamo arrivare a dire anche che non si vive di solo sport. Da qui l’esigenza di considerare lo sport come mezzo per aiutare l’uomo, e particolarmente i giovani, a guardare in profondità i rapporti con sé stesso e con gli altri.

Sport come luogo di educazione umanizzante

Evidente il rapporto dello sport con l’uomo. Infatti parlare di sport e di valori fisici,  morali, significa porre l’attenzione principalmente sull’uomo: l’uomo è e deve restare al “centro” di ogni attenzione e prospettiva. In tutte le attività umane: perciò anche a livello di sport. E forse ancor più semplicemente, lo sport diviene “struttura umanizzata” quando aiuta l’uomo ad educare sé stesso:  * tanto a livello individuale, dove il corpo si pone in concreta sintonia ed in coerente armonia con lo spirito, mediante la valorizzazione di tutti quegli splendidi desideri di amore, di bontà, di generosità, di impegno, di volontà, che sono le caratteristiche dello spirito umano;  * quanto a livello sociale, dove con il corpo l’uomo guarda ed è guardato in un quadro globale implicante anche tutto quanto gli è attorno, il mondo e il cosmo intero: cioè l’uomo è chiamato a diventare più uomo coltivando questo dono di Dio che è il suo corpo, ma è chiamato a diventare anche più fratello, coltivando con gli altri questa sua ricchezza. Ecco che affiorano tutti quei valori tipici dello sport, conseguenza diretta di una attenta pratica sportiva: l’amicizia, l fraternità, l’aiuto reciproco; la stima, la solidarietà, la lealtà, la fedeltà agli impegni, la comprensione di sé stessi e degli altri. E’ in questo contesto “umanizzante” dello sport e della vita sportiva si inserisce necessariamente anche l’aspetto” religioso” che è e deve essere – almeno per noi credenti – la dimensione permanente di tutto il nostro impegno, e l’obiettivo preminente la tensione all’”essenziale”. Nel vivo dell’esperienza sportiva è, quindi, necessario inserire – quale supremo significato – anche una ipotesi religiosa di ricerca, di scoperta, di realizzazione di sé e del vivere insieme. Ciò per una concreta proposta di crescita tanto dentro l’ipotesi umanizzata di uno sport  “per l’uomo” e “dell’uomo”. Proposta che se vuole essere veramente umanizzante non può trascurare il senso religioso.

Esigenza di un progetto educativo

Ma forse per capire meglio questo rapporto, ci viene in aiuto giornalista-scrittore ligure Vittorio G. Rossi, che nel suo libro “L’orso sogna le pere” scrisse: “Il senso religioso della vita viene dal mistero della vita stessa, dai misteri innumerevoli che fanno tutti insieme il mistero della vita. Quello che si legge nel primo libro della Bibbia, e cioè come l’uomo fu creato “e fatto anima vivente”, forse significa qualcosa, anche se è difficile spiegare compiutamente che cosa significa, e anche se l’uomo moderno così raffinato e dialettico dice che non significa nulla”. Lo sport e l’attività sportiva vanno considerati come avvenimenti ai quali si è dato un preciso significato, la cui promozione – almeno per quanto ci riguarda – ha valore se la sua essenza sta nell’immettere nella  esperienza sportiva valori umani e sociali qualificanti. Da qui l’esigenza di un progetto educativo: ogni gruppo, società, oratorio, circolo giovanile e ricreativo, deve individuare un proprio progetto educativo per il conseguimento del quale andranno pure articolati tempi e mezzi. E ciò è vero anche a livello di sport. E se per noi il progetto educativo che più ci interessa è quello “cristiano”, questo progetto va articolato tenendo presenti alcuni elementi:

  • il progetto non è opera di uno solo, ma di molti; non è l’originale trovata di un educatore, ma il difficile concorso e la ricercata convergenza di tutti;
  • il progetto deve avere come riferimento e soggetto principale il ragazzo, l’adolescente, il giovane: deve cioè aiutare a decentrarsi da sé per concentrarsi sull’altro, e sui suoi reali bisogni;
  • il progetto esige il confronto appassionato sugli orientamenti di fondo, sulle motivazioni, sui punti cardini delle attività da svolgere;
  • il progetto cerca la concretezza operativa, per questo esige una distribuzione di compiti: dai doni derivano ruoli e funzioni;
  •  il progetto comporta anche una scelta di campo: quello educativo al quale concorrono come protagonisti sia i giovani che gli adulti, protagonisti con modalità diverse ma con importanza e dignità.

In parole più semplici, le modalità attuative del progetto educativo devono conformarsi in una dimensione comunitaria capace di far crescere ciascun suo membro, e particolarmente i giovani, in termini di protagonismo e di corresponsabilità, in un quadro di libertà, di confidenza, di fiducia, di accoglienza, di gioia di essere e di sentirsi “appartenenti” ad un qualcosa di più grande e di più significativo, di cui lo sport e l’attività sportiva sono soltanto “momenti”, anche se momenti esaltanti.

In quest’ottica si pongono alcune linee di ricerca di una risposta alle attese della gioventù sportiva in particolare e del mondo sportivo in generale:

  • la sostanziale ricchezza di valori umani di una esperienza sportiva finalizzata alla crescita della persona: esperienza “umana” non settoriale, ma inserita profondamente in un quadro di vita “totale”;
  • attraverso un autentico progetto, realizzare un itinerario di esperienza sportiva ricco di stimoli e capace di piegare i meccanismi e le strutture attuali dello sport alla fondamentale finalità di essere al servizio della persona nel suo farsi quotidiano;
  • la indispensabile valorizzazione – e formazione educativa – della figura dell’operatore sportivo e dell’animatore sportivo, uomo che opera in favore e al servizio di altri uomini: questa realtà così ricca di aperture, di slanci, di incontri, di traguardi da raggiungere, ha bisogno di operatori che siano degni del compito loro assegnato.

Ecco: parlare di “progetto educativo” presuppone anche il coraggio di una revisione totale del nostro “fare sport”.

La società sportiva: una comunità di uomini

Quanto analizzato insieme, porta ad identificare la società sportiva come una “comunità di uomini”: cioè come una entità capace di aggregare e di alimentare nuova partecipazione ideale ed operativa. Ciò esige anche una grande disponibilità al servizio; disponibilità e atteggiamento che, anche a livello sportivo, può sollecitare e promuovere, in un quadro partecipativo e culturale, opportunità vere di riflessione in ordine al problema della vita e della morale, e ai rapporti interpersonali ed intergenerazionali: riflessioni da compiersi nelle modalità, nell’atmosfera, nelle suggestioni fornite dai valori più propriamente sportivi. In parole più semplici, un vivere nel gruppo, nella società, l’esperienza della disponibilità, della solidarietà, come fattori intrinseci ed ineliminabili del fatto sportivo.

In quest’ottica l’attività sportiva:

  • deve essere organizzata e attuata in modo che non vi siano emarginazioni di alcun genere, né tanto meno prevaricazioni di ordine relazionale e psicofisico; deve essere giustamente programmata e deve tendere alla promozione di uguali opportunità tra i giovani;
  •  deve essere sorretta dalla volontà di promuovere l’uomo, la sua crescita integrale, la sua educazione e formazione globale; da qui anche l’esigenza di una adeguata assistenza medica;
  • deve essere condotta da operatori sportivi (dirigenti, allenatori, istruttori, accompagnatori, ecc..) che siano dei veri educatori, cioè persone preparate non soltanto sotto il profilo tecnico, ma anche sotto il profilo morale, spirituale, psicologico, comportamentale, e attente ai giovani e alle loro esigenze individuali e sociali;
  • deve essere condotta in termini di integrazione delle altre attività, valorizzando particolarmente l’apporto della famiglia e dei genitori, i quali, proprio per la loro responsabilità educativa (responsabilità non delegabile), debbono essere coinvolti;
  • deve essere promossa in un clima di libertà (attenzione anche agli “sponsors”); una libertà che viene spesso messa in pericolo da pretese esterne che condizionano più o meno pesantemente la realizzazione dell’obiettivo educativo-formativo;
  • la vita della società – conseguentemente – deve essere caratterizzata da rapporti di sostanziale democrazia e da concreto impegno da parte di tutti, pur nel rispetto delle singole funzioni e dei ruoli specifici.

La società sportiva – intesa come comunità di uomini – diviene quindi l’occasione per articolare una nuova convivenza sportiva ed una nuova stimolante presenza sul territorio in virtù dei suoi limpidi rapporti interni e della sua capacità aggregativa, frutto della proposta di valori nuovi. In parole più semplici, di una cultura nuova capace di incontro, di verifica e di concretizzazione. Riscoprire l’elemento sport come proposta educativa, trasformante le società in vere associazioni, in comunità di persone, e promuovere l’aggregazione giovanile in termini di democrazia e di pluralismo, deve essere l’obiettivo: i giovani – ai quali (anche se non soltanto) va rivolta particolarmente l’attenzione, essi hanno bisogno di riferimenti precisi e di proposte concrete. Il problema giovanile non può essere risolto con isolati gesti pedagogici o con un attivismo privo di progettualità globale e metodologica. Per quello che ci riguarda, occorre un serio esame delle attività perché non siano anch’esse espressione di quel progetto speculativo che ha prodotto la società consumistica, ma siano segno di “liberazione”. Perché cosi sia, occorre che cadano quelle concezioni manichee e settoriali che vedono l’attività sportiva, più che una espressione dell’unità psicofisicomotoria della persona umana, una sopportabile occupazione del tempo libero e – spesso – una occasione di prestigio e di successo. Di fronte ad una situazione “giovani” socialmente e pastoralmente difficile – anche se non si può fare di tutt’erba un fascio – occorre reagire con una qualità diversa dell’educazione: lo sport, gli operatori sportivi, gli educatori, le comunità e società sportive, possono aiutare a porre le basi per una esperienza di vita dalle più qualificanti prospettive.