Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
«È ora che i panni sporchi non si lavino più in famiglia». Dice mons. Lorenzo Ghizzoni, responsabile del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori, presentando il primo «Rapporto» sulle attività delle diocesi: «Il 93 per cento degli abusi avvengono in famiglia, o in ambienti frequentati da minori. Nella società deve crescere questa consapevolezza. Bisogna dire e denunciare e non passarci sopra. Il vero cambiamento è avvenuto quando ci siamo messi nei panni delle vittime».
«Il reato di pedofilia è entrato nel diritto italiano a fine anni Novanta»
«Stiamo uscendo – aggiunge Ghizzoni – dall’idea che i panni sporchi si lavano in famiglia perché la dignità della persona vale più del mondo intero. Il problema deve coinvolgere tutti perché è un problema di tutti». Negli ultimi vent’anni «sono pervenuti alla Dottrina della fede 613 fascicoli dalle diocesi» informa mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario Cei: «Su questi dati la Chiesa italiana farà un’indagine». Sono tanti o pochi? Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente Cei, diceva: «Anche un caso solo è di troppo». 613 potrebbero comprendere denunce archiviate o fascicoli su abusatori seriali. Nel biennio 2020-21 gli abusi segnalati, anche per fatti del passato, riguardano 89 persone: 61 di 10-18 anni, 16 oltre 18 anni, 12 oltre i 10 anni.
Prevalgono i 24 «comportamenti e linguaggi inappropriati»; poi «toccamenti» (21); «molestie sessuali» (13); «rapporti sessuali» (9); «esibizione di pornografia» (4); «adescamento in rete» (3); «esibizionismo» (2). Sono casi recenti e/o attuali (52,8 per cento) e casi del passato (47,2). Tra i presunti autori 68 hanno 40-60 anni (all’epoca dei fatti). Il ruolo ecclesiale era: chierici (30), laici (23), religiosi (15). Tra i laici: insegnante di religione; sagrestano; animatore di oratorio o grest; catechista; responsabile di associazione. Il contesto in ambito parrocchiale (33,3 per cento), sede di movimento o associazione (21,4), casa di formazione o seminario (11,9).
Le azioni intraprese: «Provvedimenti disciplinari; indagine previa; trasmissione alla Dottrina della fede»
Tra le azioni di accompagnamento, i centri forniscono informazioni e aggiornamenti sull’iter della pratica (43,9 per cento), organizzano incontri con l’ordinario (24,6), offrono un percorso di sostegno psicoterapeutico (14) e di accompagnamento spirituale (12,3). Ai presunti autori si propone riparazione, responsabilizzazione e conversione, inserimento in «comunità di accoglienza specializzata» (un terzo) e «accompagnamento psicoterapeutico» (un quarto). Il rapporto raccoglie dati di 90 centri di ascolto: 21 attivati nel 2019 o prima, 30 nel 2020, 29 nel 2021 e 10 nel 2022. L’attivazione dei centri è correlata alla dimensione delle diocesi: 38 in grandi diocesi o diocesi aggregate. La sede del centro differisce dalla sede della Curia nel 74,4 per cento dei casi. Il responsabile è un laico-a (77,8 per cento), sacerdote (15,5), religioso-a (6,7). Tra i responsabili laici due terzi sono donne; l’83,3 sono supportati da un gruppo di esperti.
Sono più le donne (54,7 per cento) a contattare il centro
Principalmente telefono (55,2) o corrispondenza in rete (28,1). La maggior parte (53,1 per cento) vuole segnalare il caso all’autorità ecclesiastica; chiedere informazioni (20,8) e consulenza specialistica (15,6). Il rapporto contiene 158 risposte da 166 diocesi (8 servizi sono interdiocesani) su 226 diocesi totali (ma Papa Francesco procede negli accorpamenti). Per la distribuzione geografica il rapporto evidenzia omogeneità nella presenza delle diocesi al Nord, Centro, Sud: sono soprattutto diocesi di medie dimensioni di 100-250 mila abitanti, seguite dalle grandi diocesi (oltre 250 mila) e piccole (fino a 100 mila). Il referente è sacerdote, religioso-a, laico-a.
Il numero di incontri formativi proposti è notevolmente cresciuto da 272 incontri del 2020 ai 428 del 2021 e gli operatori pastorali coinvolti sono passati da 3.268 a 5.760. Le relazioni tra Servizio diocesano Tutela minori (Sdtm) e altri organismi ecclesiali e non sono scarse; solo l’11,4 per cento dei Sdtm partecipa a tavoli istituzionali civili. Gli Uffici diocesani interessati sono: pastorale giovanile (53,3), pastorale familiare (47,4), Ufficio scuola (35,6). Oltre al servizio Tutela minori, la maggior parte delle diocesi ha attivato il centro di ascolto (70,8), in particolare nelle grandi diocesi (84,8). Le attività del Sdtm sono pubblicizzate dal sito web (67,7), da comunicazioni alla stampa (42,4). Tra i punti di forza: la sensibilità di educatori e catechisti; la gestione delle relazioni con Uffici pastorali, Seminario, educatori e catechisti. Punti negativi: incapacità di gestire relazioni con istituti religiosi, associazioni non ecclesiali, enti locali; i rapporti con i media locali.
La stampa italiana in genere ha stroncato il rapporto
Ecco alcuni titoli molto indicativi: «La Chiesa italiana vuole fare veramente luce sugli abusi sessuali?; Deludente primo rapporto: segnalazioni su 89 vittime solo nel biennio 2020-21; Sugli abusi nella Chiesa dice molto poco; Era molto atteso, ma è stato elaborato su dati parziali e il risultato è assai deludente; Era stato annunciato in maggio e avrebbe dovuto essere la prima parte di una indagine indipendente commissionata dalla Chiesa sugli abusi sessuali e la pedofilia, finora mai realizzata: Il documento di 40 pagine redatto dall’Università Cattolica ha fatto storcere il naso, anzitutto per il periodo, solo due anni: la Cei aveva annunciato un rapporto sull’ultimo ventennio».
Particolarmente pungente il commento di Lucetta Scaraffia su «La Stampa» del 19 novembre 2022: «Quale differenza con la Chiesa francese! La quale ha avuto il coraggio di dar vita a un’inchiesta indipendente e di avviare un percorso liturgico di perdono, oltre che preoccuparsi di risarcire dei danni le vittime. Nella Chiesa italiana nulla di tutto questo. La Chiesa italiana preferisce tenere gli occhi chiusi fingendo di aprirli. Ma davvero ci meritiamo una Chiesa siffatta?».