Giorgio Campanini – università di Parma

L’istituzione del ministero del catechista completa, seppure a notevole distanza di tempo, il «trittico» che la Chiesa post-conciliare ha posto nelle mani dei fedeli grazie alle felici intuizioni di Paolo VI prima e di papa Francesco dopo.

Ai due ministeri dell’accolitato e del lettorato, si è aggiunto quello del «catechista», oggetto di uno specifico intervento di papa Francesco. Si compone così un «trittico» che pone a disposizione della comunità cristiana nuove qualificate energie in vista del necessario, e cogente, progetto di «nuova evangelizzazione» di un «Paese cattolico» che non è più tale.

In vista di questo «trittico» pastorale (al maschile e al femminile), lettorato, assistente liturgico, catechista – si pone il problema di pensare di realizzare i necessari percorsi formativi. Occorrerà in primo luogo evitare il rischio di un eccesso di formalizzazione, a partire dalla consapevolezza che questi specifici ministeri non devono essere riservati a laureati in teologia o a esperti delle Scritture, ma abbiano una buona base di teologia, accompagnata, in specifici casi, da un’adeguata cultura biblica. Si pone comunque l’organizzazione di cammini formativi augurabilmente unici (aperti, cioè, a tutti e tre i ministeri laicali), completati tuttavia da alcuni cammini differenziati e dunque con un percorso per una prima parte comune e per una seconda parte differenziato. Evitando i rischi dell’accademismo e del formalismo, sarà importante la formazione a una reale capacità di comunicazione, nelle parole e nei gesti.

Data la riduzione in atto del numero dei presbiteri, sarà fondamentale il ruolo dei docenti laici. Al riguardo, apparirà necessario poter disporre di un adeguato numero di persone che abbiano alle loro spalle non necessariamente una laurea in teologia, ma almeno un diploma attestante la partecipazione a organici percorsi formativi. Fortunatamente è in atto nella Chiesa italiana un potenziamento delle facoltà di teologia e degli istituti di scienze religiose.

Di fondamentale importanza, a tale riguardo, il superamento di antichi campanilismi e, ancor più, della tentazione dell’autosufficienza: poche saranno le diocesi – considerato il loro numero in Italia – che potranno vantare una piena autosufficienza: si imporranno pertanto cammini comuni e frequenti scambi di docenti (favorendo la mobilità degli stessi e garantendo la residenzialità dei discenti).

In questa stessa linea occorrerebbe favorire – almeno nelle parrocchie più grandi e più facilmente accessibili anche da altre parti della diocesi – la creazione di piccole biblioteche, con disponibilità di prestito, specializzate in sussidi, libri e riviste, che facciano riferimento ai principali ambiti operativi dei titolari dei ministeri istituiti.

Sarebbe poi auspicabile promuovere, annualmente, una «Giornata catechistica», per sensibilizzare i fedeli a queste tematiche e per consentire una migliore visibilità di queste nuove e importanti figure laicali.

Non dovrebbero mancare, infine, periodici corsi di aggiornamento (almeno una «giornata» annuale dei titolari dei tre ministeri istituiti), anche in considerazione dei rapidi mutamenti in atto nella società.

In relazione al sensibile aumento dei «nuovi italiani» sarebbe poi opportuno individuare, diocesi per diocesi, immigrati di sicura fede da formare anche sotto il profilo catechistico, in vista della creazione di percorsi formativi dei migranti cattolici o disponibili a un’apertura ai valori del cattolicesimo. In qualche caso in cordiale collaborazione – ove siano presenti – con ministri delle chiese non cattoliche operanti nel territorio. Quello dell’assistenza spirituale, e specificatamente della catechesi, rivolte ai sempre più numerosi battezzati provenienti da ogni parte del mondo, è una pagina ancora scritta «in bianco». Occorrerà in futuro attrezzarsi per individuare queste presenze e per organizzare i necessari percorsi formativi dei «nuovi italiani» cattolici (e forse, in generale cristiani).

Un «piccolo problema» (che rischia, tuttavia, di diventare un «caso serio» per la Chiesa italiana, e probabilmente non solo per essa) è quello del raggiungimento di un sano equilibrio fra le ministerialità laicali al maschile e al femminile. Emblematico il caso della catechesi, in molte realtà consegnate di fatto alla componente femminile. Riconoscendo la qualità e la generosità di questo impegno, occorre tuttavia evitare di dare ai bambini e ai ragazzi che compiono percorsi formativi l’immagine di una Chiesa «materna», quasi soltanto «al femminile». Già oggi si verifica, in ambito scolastico, un accentuato processo di «femminilizzazione» (prescindendo dalla «scuola materna», per la sua stessa struttura), soprattutto nelle elementari e nelle medie. Occorre evitare questa sorta di «monopolio» femminile per realizzare un effettivo dialogo anche con la componente maschile (essa pure tentata, dati i modelli dominanti, di delegare tutto alle donne …), in vista della realizzazione di un buon equilibrio fra i due sessi, senza dare luogo, dunque, a un’immagine di Chiesa soltanto al femminile, che non favorirebbe, negli anni dell’adolescenza, un’adeguata percezione della «bipolarità» di ogni comunità cristiana. Occorrerà dunque investire intelligenza e risorse per ri-avvicinare alla catechesi quella componente maschile che oggi fortemente difetta, come emerge dai dati sul rapporto esistente in Italia fra catechisti e catechiste.

Un’accentuata «femminilizzazione» della catechesi comporterebbe il rischio di rafforzare l’opinione, largamente diffusa, secondo la quale le «cose di Chiesa» appartengono soprattutto al «mondo femminile» (impressione avvalorata dalla presenza largamente maggioritaria di donne alle messe domenicali in consistenti parti del nostro Paese): quasi, appunto, che la catechesi fosse «cosa da donne» …

Di fronte alla possibilità di una diffusa presenza di laici, uomini e donne, investiti di funzioni, in senso lato, «ministeriali», non mancano coloro che ritengono inopportuno e improprio questo «ripiegare» dei laici sul solo servizio alla Chiesa e temono, conseguentemente, una sorta di «clericalizzazione» dei laici. Per evitare di incorrere in questo rischio, dovrà rimanere ben chiaro che compito dei laici è anche quello del servizio al mondo e non solo del servizio alla Chiesa. Il laico può servire la Chiesa in vari momenti e realizzare il proprio impegno ora nella comunità cristiana, ora nella società civile.

Mentre tuttavia, l’impegno nella storia, nei campi del lavoro, della politica, della ricerca scientifica, non richiede al credente alcun «patentino», il servizio alla Chiesa, per essere prestato in forme adeguate, esige una necessaria preparazione: appunto a questo mirano i percorsi formativi che, ora nell’uno ora nell’altro ambito, la comunità cristiana deve sapere organizzare. La forte riduzione del numero dei presbiteri, sotto questo aspetto, non è una sciagura, ma una sfida: quella che la storia lancia a una comunità cristiana capace di rinnovarsi leggendo con saggezza e con coraggio di conciliari «segni dei tempi». La carenza di presbiteri rispetto al passato non è un venir meno dello sguardo di Dio sulla Chiesa, ma l’invito a riscoprire l’idea di una Chiesa tutta ministeriale, nella quale i laici svolgano un compito altamente qualificato ora nella comunità cristiana ora nel mondo. Ancora e sempre vi è posto per tutti.

Tratto da Orientamenti Pastorali n.11/2022, EDB. Tutti i diritti riservati.