Domenico Sigalini – presidente del COP

Abbiamo tutti in mente quel pomeriggio sera in cui dall’attesa, dalle previsioni, quasi del tutto sbagliate, dai pronostici e dai molteplici pareri e desideri, finalmente siamo passati alla fumata bianca. L’apertura della loggia della basilica di san Pietro ha sciolto dubbi, sconfitto pareri, lanciato la novità di un papa che finalmente veniva da un mondo nuovo. Avevo pregato Dio che ci mandasse un papa che non venisse dal nostro ristretto Occidente che già aveva superato non solo l’Italia, ma anche l’Europa per due grandissimi papi che ci hanno aiutato a decentrarci. Dicevo dentro di me: siamo ormai troppo vecchi, troppo strutturati e ingabbiati, troppo chiusi nel nostro mondo di potere e di cultura. E fui esaudito; non conoscevo il card. Bergoglio, anche se l’avevo incontrato qualche anno prima in Argentina alla commemorazione di un grande santo cardinale, il card. Pironio, pure lui argentino di origini italiane.

Fu subito gioia e apprezzamento per la cordialità, la spontaneità, l’impostazione semplice, ma profondamente conciliare nel parlare al suo popolo di Roma, alla sua diocesi e a tutto il mondo. Quel dirci «Buonasera», quel chiedere a tutti di benedirlo e di pregare per lui, quel nome semplice e a noi italiani e a tutti i credenti molto amato, stimato, pregato e visitato, «Francesco», senza orpelli di numeri da impero, ci ha posto immediatamente in una sequenza di novità semplici, ma promettenti. Ci ha sconvolto le ipotesi, giustamente vecchie di Italia e di Europa, e ci ha fatto sperare. Si trattava solo di cose semplici, forse oggi ormai consuete, e lo aspettavamo al varco della sua parola, del suo ruolo di conferma della fede e di governo della Chiesa. Il testo a quattro mani fatto con papa Benedetto sulla fede garantiva una sicura continuità e nello stesso tempo alcune belle novità, che sono venute alla luce con la Evangelii gaudium, il suo mai conosciuto abbastanza, non ancora studiato a fondo e soprattutto non attuato con sufficiente lungimiranza e intelligenza, progetto di Chiesa del presente e del futuro. Non una volta sola ci ha chiesto di approfondire la Evangelii gaudium, questa figura di Chiesa che, fedele al concilio ecumenico Vaticano II, è la sua visione di Chiesa universale, dialogante con tutte le realtà terrene, le stesse religioni diverse, i germi di futuro che già sbocciano nelle nostre esistenze private e sociali, culturali e lavorative. Forse non lo abbiamo sempre ascoltato con docilità. Sono contento di mettere in evidenza anche i sinodi sulla famiglia, sui giovani e sull’Amazzonia, dove la parola sinodo non è stato mai un vocabolo generico, ma un metodo applicato alla grande e sempre, sia nel coinvolgimento della base che nella stesura delle conclusioni. Dai sinodi emergono anche indicazioni concrete, non sempre attuate nelle varie chiese.

Il volto più proposto, ricercato, attuato da papa Francesco per la Chiesa del terzo millennio è quello della sinodalità, di questo coinvolgimento di tutte le voci della Chiesa dai preti, vescovi, religiosi e religiose, associazioni laicali e laici nella vita della Chiesa, nella sua forma istituzionale e nella sua missione. Solo che non sempre è stato seguito nei suoi desiderata. Un esempio tra i tanti: le diocesi italiane sono troppe ed è da tanto tempo che si tenta di ridurle, accorparle, unirle. Il papa aveva chiesto a tutte le presidenze delle regioni ecclesiastiche italiane di presentare dei progetti di accorpamento elaborati e discussi in regione. Purtroppo, nessuna regione è stata capace di presentare un progetto articolato e attuabile. Sappiamo tutti quanto è difficile che un vescovo riesca a convincere i suoi preti e la sua gente che la sua diocesi venga accorpata a un’altra o venga abolita e non vi abiti più un vescovo, con il suo episcopio, la sua curia, la sua presenza quotidiana anche popolare! Il papa allora si sente costretto, per il bene della Chiesa, per arrivare minimamente all’obiettivo, ad attendere che un vescovo finisca per età il suo incarico e a decretare l’aggregazione della diocesi senza vescovo a quella vicina, anche se non sempre è la scelta migliore, e soprattutto arriva alla diocesi senza nessuna consultazione (o quasi), saltando spesso le comunicazioni necessarie agli organismi sinodali diocesani. Purtroppo è lo stile che poi si ripete alla base in molte diocesi, e sono tantissime, dove si mettono assieme parrocchie senza nessuna o quasi consultazione o coinvolgimento della base. Ne deriva sicuramente un disamore delle chiese locali e soprattutto dei laici, che alla fine sono coloro che hanno sostenuto le parrocchie con le loro fatiche e spese pure economiche. Le consultazioni, le esperienze di vera sinodalità creeranno discussioni, prese di posizione difficili da gestire e in parte esaudire…, ma almeno se ne discuterà e si cercheranno assieme i nuovi assetti. Molta gente oggi dice: avete fatto voi le vostre scelte, noi non contiamo nemmeno il minimo diritto a una informazione vera, arrangiatevi. Sappiamo però che il popolo di Dio sa ragionare, sa confrontarsi, sa accogliere anche decisioni difficili e sa continuare a essere fedele alla comunità cristiana, ad affrontare le sfide nuove che sono sempre cariche di doni di Dio per tutti, soprattutto se la ricerca di soluzioni è fatta nel segno della fede e della missione.

Un’altra bella e insistita dimensione che ogni cristiano deve avere è l’apertura missionaria di tutta la sua vita, di tutte le strutture di Chiesa, di tutte le vocazioni, di tutte le famiglie, di ogni cristiano. Sono tanti i modi (primo tra tutti l’Evangelii gaudium) con cui papa Francesco ci stimola a uscire, a non stare al balcone, a non guardarci addosso, a stare a morire di noia. Ogni domenica poi, non possiamo non sintonizzarci sul suo messaggio che mette al centro il senso della domenica che viviamo, e quel vangelo diventa un tassello che ogni settimana ci stimola a crescere, a credere e ad annunciare nella quotidianità della nostra vita.

Grazie papa Francesco. Ad multos annos

 

(tratto da Orientamenti Pastorali n. 3/2023. Tutti i diritti riservati)