Dal 2020 in avanti abbiamo assistito a quattro grandi crisi, che sono punti di non ritorno (crisi strutturali): 1.) la pandemia con il suo impatto a tutto tondo sulla vita del paese, con ricadute sull’oggi; 2.) crisi dell’inflazione, con l’aumento dei costi improvviso; 3.) crisi dell’energia, con il suo impatto sulla vita delle famiglie e dell’imprese, nonostante gli “aiuti” dello Stato; 4.) la guerra in Ucraina.
Queste crisi esaltano le difficoltà di lungo periodo che il nostro paese si porta dietro. Difficoltà demografiche (indicatori demografici negativi, compresi gli indicatori di aree in spopolamento per ragioni diversificate); difficoltà retributive e conseguente perdita del senso di lavoro; disinvestimento in termini di capitale umano, anche nell’occupazione; propensione forte al risparmio, con la sua ricaduta nel sociale, perché gli italiani hanno perso la speranza nel futuro (la regola è «metto via “denaro” oggi per i momenti più difficili del domani)»; aumento del debito pubblico; il terzo settore, in crescita, è lasciato a stesso; difficoltà di ottenere finanziamenti… ; crisi di rappresentanza intermedia nel territorio: il “nascondersi”, in non incoraggiare tavoli di domanda e di ricerca condivisa di risposte.
Nell’ultimo rapporto Censis l’oggi è stare in uno stato di “latenza”, periodo che intercorre tra l’intercettazione della questione e la riposta. Lo stato di latenza possiamo dirlo con una metafora: «essere un clandestino nel transatlantico della storia».
Dal titolo di questa settimana occorre essere provocati, e comprendere che dobbiamo «fare in fretta»; non c’è più tempo.
Il documento Evangelizzazione e promozione umana denuncia già una perdita di contatto con la realtà; questa, oggi, è sempre più tangibile: la questione è ben più larga dal mettere sotto processo la “tecnologia”.
Come si colloca questo ragionamento con la questione delle aree interne? Quello di aree interne è concetto che trova definizione già negli anni’ 50 a partire dallo spopolamento del mezzogiorno. Oggi consideriamo una dimensione algoritmica: un’area è detta interna quando è ad un tot di minuti (almeno 27,7 minuti primi) da luoghi vitali di servizio (come scuola e sanità). A questa dimensione si aggiunge una accentuata crisi demografica.
Cosa fare? Nelle “strategie per le aree interne” (nazionali e territoriali) oltre all’erogazione di risorse finanziare (allo stato attuale difficile), occorre imparare a saper bene spendere i soldi. Occorre una “politica integrata” unitamente a strumenti di accompagnamento. Occorre un “tenere insieme” le istituzioni territoriali (Chiesa compresa) dal punto di vista di un “senso” condiviso.
Il vento necessario per rimettersi in volo è proprio in quella ripresa (in atto) del concetto di territorio locale.
Circa la parola chiave “transizione”, ricordiamo che Leopardi “ironicamente” afferma che ogni giorno è di transizione (specie nell’epoca dei “numeri e delle enciclopedie tascabili”, com’è nell’oggi). Una Chiesa che è sempre in cammino, deve mettersi in prossimità di tutti, in un impegno – applicazione quotidiana. Certo una progettualità è necessaria, e questa richiede ascolto, discernimento (non meramente di settore, ma in integrazione). Quindi, occorre andare oltre ogni dibattito surreale che può emergere da un PNNR, il quale più che obiettivo sia applicazione quotidiana in uno susseguirsi di step processuali calzanti con le esigenze del territorio. Occorre pure andare oltre l’idea di territorio locale come “isola”, ma studiarne le connessioni con il territorio che l’ingloba, l’esterno.
Occorre ridestare “senso”, “restituire” motivazioni a tutto tondo, perché ci sia “movimento”.