Domenico Sigalini – presidente del COP

Inizio questa riflessione con una domanda, una domanda che occorre farci con attenzione: come viene illuminata la vita dalla fede e, nello stesso tempo, che cosa dice tutto il mare dell’esistenza a me credente? A me che voglio vivere il vangelo, sine glossa, a me che voglio vivere con fede il presente e che voglio offrire il messaggio di salvezza? La fede è un bollo che appiccico alla vita? La vita è una realtà che posso capire al di fuori di una visione di fede? E da questa, un’altra serie di domande: quale lettura della realtà si accoglie nella riflessione e nella prassi pastorale? Quella azione pastorale che mi aiuta a consegnare la vita al mistero santo di Dio, che attenzione pone allo spessore profano della vita e ai suoi processi promozionali sia personali che collettivi? Come devo tenere in conto i dati di una ricerca sociologica, comportamentale per fare in modo che l’uomo di oggi si interroghi ancora sul messaggio di Cristo, riesca a vederlo come necessario alla sua felicità e lo viva? Tentando una semplificazione, si tratta di dare spessore culturale-teologico alla famosa terna: vedere, giudicare e agire e vederne gli sviluppi necessari oggi, nel contesto pluralistico delle conoscenze e dei suoi molteplici modelli. E il problema diventa ancora più delicato se si guarda alle diversificate letture della realtà e alla frammentazione dei saperi dell’uomo. Nel costruire un pensiero e una prassi pastorale, la teologia allora deve condurre il dialogo con le molteplici discipline umane e i punti di approdo del pensiero scientifico e filosofico. Ma come si articola questo dialogo?

 La grammatica dell’ascolto

Il problema non è nuovo, in questi ultimi 80 anni si sono fatti vari tentativi di rinnovamento e di approfondimento. Si sono via via presentati vari modelli di lettura della realtà per costruire una grammatica dell’ascolto, una grammatica dell’abitare le varie culture sia del passato che quelle presenti e viventi, per poter dire oggi e vivere pienamente dentro la vita umana l’esperienza autentica, nuova, accolta come dono inaspettato, della fede in Gesù Risorto. Il mistero di Dio si affaccia solo attraverso la porta stretta del suo visibile. Per decifrare il visibile e raggiungere in esso la soglia del mistero, il credente ha bisogno delle diverse competenze scientifiche: ha bisogno di sociologi, di linguisti, di antropologi, di esperti di discipline progettative, di politologi. Non compie una fredda consultazione, ma vi si pone dentro, le abita per identificare al loro interno le esperienze antropologiche fondamentali. Quando c’è di mezzo l’uomo e la sua libertà la teologia ha bisogno di esprimere amore appassionato, condivisione, quadro di valori orientativi, ricerca e invenzione di senso. Sapienza potremmo dire questo modo di abitare le scienze umane. È quella famosa competenza in umanità che sbilancia sul piano antropologico il contributo sapienziale della teologia. 

Le conseguenze per i modelli di discernimento ecclesiale

Il problema affrontato dai teologi ha una sua applicazione molto precisa anche nella pratica della stessa comunicazione del vangelo e dei modelli formativi che si usano. In ogni modello di discernimento, il punto più delicato è il rapporto tra le verità rivelate e la vita umana, la vita della città. Immaginiamo soprattutto il mondo di oggi, quello giovanile in particolare, che ha un chiaro rigetto di tutto quanto è definito al di fuori della sua vita e delle sue esperienze. I dati da far interagire sono sempre due: il messaggio di salvezza e le domande, le situazioni, le complicazioni della vita. A seconda di come si rapportano tra loro nascono alcuni modelli di discernimento differenti:

2.1. Il discernimento deduttivo o discernimento «idraulico»

Per annunciare il messaggio di salvezza devo avere chiare le idee da comunicare, le verità di fede già definite fuori dalla mischia, gli eventi che non dipendono dall’uomo e fare in modo di orientare gli uomini ad essi, di farglieli capire. Si tratta di avere quattro buone idee sulla religione, sulle verità rivelate, sui contenuti della esperienza credente, sui comportamenti, i comandamenti, la morale. Occorre di conseguenza fare in modo che la mia visione di fede entri nella gente, la pervada e la cambi. Quale metodo utilizzare per far entrare nella vita distratta di questa società le verità di fede, il cristianesimo, la morale cattolica? Siamo alla ricerca dell’imbuto, che deve essere adattato alla bocca, al collo della bottiglia. Per questo tale tipo di discernimento lo chiamo anche idraulico. È evidentemente un metodo che non risponde alle esigenze della stessa esperienza di fede nonostante sia collocata in un suo mondo non disponibile ad adattamenti. Qui si può parlare molto facilmente di beni non negoziabili ed estenderne la definizione a tutti quelli che deduciamo in maniera astratta dalla vita. Il nostro Dio invece è un Dio incarnato e vorrà significare qualcosa l’umanità di questo popolo, non può essere ridotta a bottiglia da riempire. Questo metodo non valorizza l’umanità, ma la considera solo come un contenitore di elementi che sembrano predefiniti. Il vangelo non è una trasformazione della vita, ma una sovrapposizione, che non può contare sulla creatività della vita degli uomini per essere detta anche oggi in maniera viva e affascinante, legata profondamente alla loro esistenza, come salvezza. Chi sostiene ancora questo metodo deve rendersi conto che così si impoverisce pure la fede, anche se si è convinti di salvarla.

2.2. Il discernimento riduttivo o di adattamento

Al primo posto stanno le condizioni, i desideri, le aspirazioni della gente, dei lavoratori, dei precari, dei poveri e in certi casi anche dei partiti che si danno da fare. Non sempre la politica è marcia, si porta dentro anche ideali di giustizia di bontà, sogni di bene comune. Occorre superare questa lettura negativa della realtà e vedere i lati belli delle passioni politiche, la dedizione al bene comune di tanti uomini e donne. Il problema non è tanto come aiutare la realtà a capire gli ideali o i valori; abbiamo già deciso noi che per il mondo di oggi, i nostri principi sono troppo impegnativi. Allora, la domanda decisiva è: che cosa scrivere di tutto questo patrimonio dentro la vita pubblica di oggi? Che sconti fare? Quali elementi offrire che abbiano una prospettiva minima di riuscita? In pratica, si tratta di adattare alla mentalità corrente le verità, l’esperienza di fede, la morale, i valori e comunicare di essi quel tanto che renda tutti felici e soddisfatti. Il superamento di questi due modelli di discernimento è quello che prevede una più decisa circolarità tra situazioni dell’uomo e proposta di fede, tra ricerca politica e ispirazione cristiana. Lo possiamo chiamare discernimento circolare o ermeneutico. La novità è quella di dare all’ascolto una valenza non così banale di adattamento o di imposizione, ma di porre in seria mutua interrogazione: la realtà, la ricerca appassionata dell’uomo del bene comune, con la Parola di Dio, con il dato di fede. La vita è l’unica carne in cui può prendere corpo la Parola di Dio, oggi. E l’evento della fede è l’unica possibilità che è data all’uomo di superare la sua invincibile povertà. L’esperienza di fede è un valore inestimabile, è il segreto della felicità della persona è una prospettiva di mondo insuperabile e la vita della persona, la sua rete di relazioni istituzionali sono gli spazi indispensabili perché la fede sia viva, autentica, sia la salvezza oggi dell’uomo e della società. Se la vita viene a contatto con la fede, ne rimane esaltata. Se la fede entra in questa vita viene arricchita delle nuove sintesi verso cui è chiamata a crescere l’umanità.

Risultato del discernimento allora diventa la conclusione nuova di questa mutua interrogazione. È un nuovo cui la vita si apre e la Parola innerva. È una sintesi di fede e vita, non è la sola esperienza umana o una fredda enunciazione di una verità astratta, ma una nuova formulazione dell’esistente alla luce della fede, una nuova definizione di bene comune. A questo punto occorre riprendere il cammino, perché la vita cambia, si fa più esigente, si allarga a nuove prospettive, produce nuovi frutti, si ridefinisce il concetto di bene comune e ha bisogno che la Parola offra sempre maggiori profondità di ascolto e di salvezza. In questo modello il momento più delicato e più esaltante è la mutua interrogazione tra fede e vita, è analizzare le domande, farle esplodere con tutti i loro significati col metodo della scommessa e metterle di fronte alla luce della Parola che va studiata a fondo.

 Le qualità di questo discernimento

 1) La solitudine. Spesso nel mondo sei solo e non tutti la pensano come te. Nella vita di famiglia, o di lavoro, il banco di prova dell’essere cristiani è nella capacità di essere sé stessi, nell’originalità di alcune scelte controcorrente, che riguardano il modo in cui si imposta la vita. Hai bisogno di aggregarti per trovare maggior forza di penetrazione nella stessa conoscenza del reale.

2) Il rischio. Vediamo tutti che il vangelo non sta completamente dentro nei nostri comportamenti quotidiani e nelle leggi che vorremmo promuovere nella nostra visione di bene comune, non sempre si è sicuri di fare le scelte giuste, ma bisogno scegliere

3) L’ampliamento del consenso. La prima preoccupazione non deve essere quella di fare mediazioni, compromessi, trovarsi a metà strada, offrire il bene possibile come media delle azioni che lo ispirano, ma allargare con operazioni culturali corrette, vere e belle l’area del consenso nella ricerca prima e in seguito attorno alla visione di bene comune per il mondo, la società, la famiglia, il singolo che stiamo cercando.

4) Privilegiare gli ultimi. Occorre che la solidarietà sia intesa come gesto e stile, ma anche come passione a vivere intensamente la comune umanità nei suoi aspetti di maggiore povertà e fatica, oltre che in quelli più ordinari di bellezza e bontà.

Conclusioni

Se il modello è questo, diventa evidente che è un gioco di squadra, e meglio sarebbe dire che è una necessità che sia custodito gelosamente come qualità di una comunità cristiana, che il ruolo del laico in questo campo è assolutamente indispensabile, che essere laici, magari associati e con una visione di mondo, di vita, con tirocini di servizio alla realtà e dimestichezza con la Parola e il magistero, è una condizione privilegiata per la ricerca del bene comune e diventa un contributo necessario alle varie operazioni che rendono praticabile il discernimento. Per esercitare questo modello di discernimento la comunità cristiana non si può limitare a seguire dall’esterno il difficile cammino della necessaria mutua interrogazione tra valori e storia ma svolgere una duplice funzione positiva: deve essere un luogo di formazione al senso sociale e aiutare a comprendere la dinamica della società nel suo sviluppo storico; deve diventare, e rimanere, un luogo di confronto fra i credenti impegnati a vario titolo nel sociale, sia offrendo loro adeguati strumenti di conoscenza, sia favorendo la crescita di una «spiritualità dell’impegno» che eviti la deriva pragmatistica che ricorrentemente minaccia la politica, sia infine fornendo a quanti hanno diversi orientamenti politico-partitici occasioni «neutrali» di confronto, non viziate dall’inevitabile dialettica della politica contingente ma caratterizzati da uno schietto e franco confronto fra posizioni che non necessariamente potrebbero convergere ma che sempre dovrebbero essere rispettate, quando siano state assunte in buona fede e in serena coscienza.

A conclusione ritengo utile segnalare come qualificante e ben strutturato dal punto di vista pastorale il dossier su «il discernimento» in Orientamenti Pastorali 9/2023, con il prezioso articolo di impostazione di Torcivia, la stessa catechesi di Papa Francesco, il versante culturale di Savagnone, l’affondo teologico di Cosentino, la traduzione comunitaria sinodale di Costa e i luoghi «altri» per una esperienza di vangelo di Tonello.

Tratto da Orientamenti Pastorali n. 3/2024. Tutti i diritti riservati.