“Accompagniamo i giovani e con loro scopriamo le loro vocazioni e attitudini, ma anche le loro paure e speranze, o ci poniamo davanti ai giovani pensando a come li vogliamo, plasmandoli secondo un ideale?”. È una delle provocazioni lanciate questa mattina da Roberta Ricucci, docente di sociologia all’Università di Torino, intervenendo alla 67ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale in corso a Pianezza (To) sul tema “Ri-partire dalle periferie”, organizzata dal Centro di Orientamento Pastorale (COP). Nel focus dedicato a “I giovani: generazione oltre il recinto?”, Ricucci ha rilevato che “per occuparsi dei giovani, per accompagnarli rispetto al loro futuro occorre destinare le energie migliori, occorre definire le politiche migliori. Si tratta di un compito comune che richiede gli sforzi di tutta la comunità educante”. Evidenziando che “i giovani sono una risorsa preziosa, una risorsa rara”, Ricucci ha rilevato che “c’è un racconto dei giovani italiani e stranieri che non tiene conto di tutto l’universo giovanile che vive nel nostro Paese”. “Non abbiamo solo giovani con difficoltà di cui occuparci – ha spiegato – ma ci sono anche dei giovani che rappresentano delle eccellenze. Ce ne dobbiamo occupare in maniera diversa, con strumenti differenti”. La sociologa ha anche sottolineato che “forse è il protagonismo giovanile il tema che ci invita maggiormente alla riflessione” per capire “come raccogliere la voce dei giovani che già frequentano gli ambienti parrocchiali o quelli dell’associazionismo cattolico ma anche di coloro che ne sono fuori, ai margini, alle periferie”. “I giovani vogliono contribuire a costruire il futuro”, ha aggiunto. “Bisogna lavorare innanzitutto sull’immaginario dei giovani, dei genitori e di chi ha compiti educativi”. La sociologa ha poi messo in luce come “al di là dei social network, nei giovani c’è necessità di relazioni autentiche e concrete” così come “c’è richiesta di coerenza negli adulti che si incontrano”. “Parlando dei giovani – ha continuato – non possiamo tenere da parte i giovani migranti, quelli che hanno appartenenze religiose differenti. Rispetto ai giovani stranieri, è il tempo di guardare a loro ponendo l’accento sul loro essere giovani. Anche perché sono sempre di più le similitudine tra i giovani stranieri e quelli italiani”. “Insieme ai giovani possiamo costruire pratiche non solo di inclusione ma di cittadinanza, nel senso di protagonismo civico e coinvolgimento in quel tessuto territoriale che si fa comunità educante e società in cui sviluppare benessere per tutti”. Ricucci ha concluso notando che “in un tempo di rapida evoluzione tecnologica, i tempi di vita e di educazione non sono così rapidi. Dobbiamo scegliere se fare con i giovani dei percorsi che facciano di loro dei maratoneti o dei centometristi”.
(Fonte SIR)