Livio Tonello, direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose di Padova e docente di teologia pastorale alla Facoltà teologica del Triveneto

Nelle comunità cristiane esiste una pastorale ordinaria ed esistono gli eventi. La prima alimenta e accompagna la fede dei credenti nella quotidianità delle celebrazioni, delle feste, delle ricorrenze e delle attività formative, spirituali e conviviali che animano la vita delle parrocchie. Gli eventi fanno parte dell’azione pastorale ma segnalano anniversari, momenti unici, proposte qualificate e appuntamenti straordinari. Uno di questi è il Giubileo che la Chiesa si accinge a celebrare nel 2025. E, pur connotato da una valenza mondiale, arriva a intercettare la pastorale delle parrocchie con ricadute favorevoli. Non interrompe l’ordinario; anzi, può presentarsi come una boccata d’ossigeno per ravvivare e riscuotere dal torpore di una quotidianità troppo quotidiana. La domanda di fondo che interpella la pastorale è come far diventare esperienza di fede l’evento giubilare, come farlo diventare terreno fertile per la pastorale ordinaria. La domanda è la stessa che si pongono gli educatori di fronte, per esempio, alle giornate mondiali della gioventù: come continuare a mantenere vivo il fuoco di una esperienza esaltante dentro alla semplicità e, a volte povertà, delle attività giovanili parrocchiali.

  1. Il pellegrinaggio: metafora del cammino di fede

 Tra i tanti elementi che caratterizzano un giubileo (luoghi, segni, gesti) e che lo qualificano (porta santa, indulgenze, sacramenti…) spicca la pratica del «pellegrinaggio». Proposta già presente anche nella pastorale ordinaria (visita ai santuari, uscite spirituali, camminate meditative…) ma che ora acquista un significato più intenso e allettante, capace di coinvolgere non solo i «fedelissimi» ma chiunque si pone in ricerca. Il pellegrinaggio, infatti, si presenta carico di contenuti, di suggestioni, di opportunità e di elementi simbolici. Prassi ecclesiale che ha attraversato i secoli, rivela ancora oggi una carica valoriale ed emotiva notevole, anzi rinnovata, divenendo un fenomeno che si allarga oltre l’evento giubilare. Il pellegrinaggio si presta a evidenziare e far risaltare in modo simbolico, metaforico ed esperienziale i contenuti salvifici del cristianesimo nella mediazione di quel vangelo che continua a parlare all’uomo d’oggi. Per questo ci sembra una opportunità che va colta nel suo valore più ampio, come pratica religiosa capace di far vivere un’esperienza di fede o quantomeno spirituale. Al riguardo, nella Bolla di indizione del Giubileo troviamo affermazioni illuminanti: «Non a caso, il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare»; «Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita»; «Da questo intreccio di speranza e pazienza appare chiaro come la vita cristiana sia un cammino, che ha bisogno anche di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù» (n. 5)[1]. Da queste poche battute si evince che diversi elementi si fondono insieme e fanno apparire il pellegrinaggio come una esperienza complessa e poliedrica. Le dimensioni che la abitano sono molteplici e il fenomeno è stato indagato e sviscerato da molti versanti. Le prospettive con le quali va compreso non sono solo sociologiche e religiose, ma anche antropologiche, spirituali, psicologiche, relazionali, teologali… Al suo interno si sommano motivazioni spirituali, devozionali, liturgico-sacramentali, perfino ecologiche e turistiche, che coinvolgono soggetti mossi dalle più disparate intenzioni. Non lo possiamo tout court catalogare tra le esperienze di fede, ma sicuramente tra quelle spirituali.

«Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità. Anche nel prossimo anno i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente l’esperienza giubilare» (n. 5).

L’azione del camminare non è solo strumentale allo spostamento in mancanza di altri mezzi. Camminare è un’azione che ha sempre contraddistinto gli esseri umani. Si va dalla vita nomade dei primi abitanti della terra alle migrazioni odierne. La dimensione dell’homo viator ci caratterizza fin dalla notte dei tempi. Nell’evoluzione umana uno dei primi salti vitali e culturali è stata la posizione eretta e il conseguente utilizzo degli arti superiori. La deambulazione ha permesso di coprire grandi distanze in minor tempo e di avere a disposizione le mani per l’utilizzo di utensili e il trasporto di materiali. Il sorgere di luoghi sacri lungo le vie di passaggio ha segnato l’emergere di un significato altro al cammino stesso, contrassegnato da punti di riferimento simbolici oltre che orientativi (segnavia). Il ritorno nel medesimo luogo, il riferimento spaziale, la memoria del passato fanno emergere l’homo religiosus che non solo cammina, ma è anche abitato e ospitato dagli spazi. Cioè cammina con la consapevolezza di compiere un’azione non solo funzionale, ma riferita anche alla memoria, all’attesa, all’incontro, all’invocazione.

Ritornando alla domanda iniziale: quale valenza può avere per la pastorale l’esperienza cristiana del pellegrinaggio? Prendendo atto dei significati poliedrici del pellegrinaggio, risaltano per la loro pregnanza alcune dimensioni: biblica, antropologica, teologica, ecclesiale…; dimensioni che verranno approfondite negli articoli successivi. Dal punto di vista della pastorale recuperiamo le più rilevanti.

  1. La dimensione corporea del pellegrinaggio

 La corporeità ci contraddistingue. Non abbiamo un corpo, ma «siamo un corpo», e la fede credente si esprime dentro e con la propria umanità, attraverso e non nonostante i limiti, con le potenzialità (carismi) ricevute. Il pellegrino si muove, si sposta, si delocalizza. L’azione del camminare sollecita la partecipazione corporea (piedi, gambe, braccia, spalle…) a quello che si configura come un movimento esteriore e interiore. Tutto il proprio essere ne viene coinvolto. È un coinvolgimento dei sensi (toccare l’urna, abbracciare il busto, accendere un lume, ascoltare il silenzio, cantare, assaporare i profumi, vedere le raffigurazioni, leggere la vicenda storica, emozionarsi per la bellezza dei luoghi…) che intercetta tutta la persona e la avvolge. La pastorale è spesso pensata e vissuta in modo asettico. Il coinvolgimento del fedele si riduce all’ascolto e a qualche risposta sussurrata. La staticità di certe liturgie non aiuta a entrare nel mistero. Eppure, la liturgia è pensata per un coinvolgimento di tutta la persona in quegli elementi antropologici che la contraddistinguono, in una modalità «multimediale», per usare una categoria attuale. Una preghiera anestetizzata non nutre. «A Taizé, noi abbiamo sempre creduto che il culto non è un processo celebrale ma coinvolto con tutto l’essere. […] nella nostra comunità, usando segni molto semplici (candele, icone, soffice illuminazione, qualche mattone e qualche stoffa […] noi tentiamo di creare uno spazio che faciliti l’attenzione e il silenzio interiore. Noi crediamo che la bellezza è la soglia del mistero di Dio. E quando la bellezza è alleata con la semplicità, è più facile sintonizzarsi con il vangelo».[2] 

  1. La dimensione religiosa del pellegrinaggio

 Partendo dalla corporeità, il passaggio successivo si rivolge al valore della pratica del pellegrinaggio. Sotto quale categoria possiamo etichettarlo? Devozione, religiosità popolare, pietà popolare, spiritualità? Dove quel «popolare» è spesso inteso come riduttivo rispetto al vissuto di fede. L’esperienza cristiana del pellegrinaggio non va rubricata immediatamente come sottocategoria religiosa. La vita di fede dei battezzati cerca forme e modalità plastiche per esprimersi, nelle quali entrano in gioco il corpo, il tempo, lo spazio, la relazione. Il credere si esprime nel movimento, nell’offerta, nella invocazione, nella gratuità, nel ringraziamento… È un viaggio fuori di sé (estroversione dalla quotidianità); è un viaggio dentro di sé per raggiungere la propria interiorità; è un viaggio per andare oltre sé.[3]

La proposta pastorale del pellegrinaggio giubilare ha tutte le carte in regola per essere considerata espressione di «fede popolare».[4] Parliamo di fede e non solo di religiosità che invece è attribuibile a ogni persona in ricerca di un orizzonte più ampio nel quale collocare la propria vita. La pietà o fede popolare, in forza del suo essere spiritualità e mistica,[5] non ha per contenuto solo una serie di devozioni, ma accoglie il vangelo e lo incarna in espressioni di preghiera, di fraternità, di perdono e di festa. Il pellegrino manifesta la fede come affidamento che diventa abbandono, invocazione, oblazione, riposo nella volontà di Dio… È espressione di una emotività forte e significativa, in forme non istituzionali. Il luogo a cui tende richiama un vissuto cristiano, una figura di umanità realizzata, un modello di vita (martiri e santi). È andare alle radici storiche e culturali del cristianesimo come a una sorgente per motivare la possibilità di essere discepoli del Maestro, oggi come allora.[6] Quello della fede è certamente il punto di arrivo di una «esperienza evento» che porta con sé la spinta per proseguire nel quotidiano la chiamata evangelica, continuando a usufruire delle grazie liturgico-sacramentali che donano la salvezza, che riconciliano, che purificano. Tornando a casa, i pellegrini sentono il disagio di riprendere un comportamento stereotipato e spesso nascono scelte alternative attraverso cui far perdurare nel tempo l’esperienza vissuta.

  1. La dimensione formativa del pellegrinaggio

Non è una novità soffermarsi sugli aspetti formativi del pellegrinaggio. Esiste già una assodata tradizione che passiamo definire «pastorale del cammino». È la pastorale che intercetta alcune categorie di credenti che del viaggio fanno la propria professione. Ci sono i circensi, i marittimi, i pescatori, gli operatori turistici, gli esploratori… Una vita in continuo movimento affiancata spesso da assistenti spirituali che offrono vicinanza, consolazione e orientamento. Anche nelle parrocchie troviamo gruppi e associazioni nelle quali il cammino è metafora e strumento formativo: scout (route), cammino neocatecumenale, pellegrinaggi dell’Unitalsi, gruppi mariani… Soprattutto per i giovani diventa una proposta formativa, relazionale, spirituale e di fede, qualora ben organizzata: una pastorale in cammino e del cammino. Negli ultimi decenni c’è stato un fiorire di percorsi che recuperano le antiche vie «romee» o legati alla figura dei santi, come ad Limina Petri, la via Francigena, il cammino di s. Francesco, il cammino di s. Benedetto, il cammino di s. Antonio, la Romea Strata, i Monti di pietà…

Del tutto particolare si presenta la Giornata mondiale della gioventù (GMG), che non si presta a una traducibilità nella pastorale ordinaria ma che ha aperto la riflessione di molte diocesi su un metodo nuovo di evangelizzazione dei giovani. La conferma è data dal fatto che non è rimasta legata alla intuizione profetica della figura carismatica di Giovanni Paolo II, ma si è evoluta. La GMG è un’esperienza di rottura con la routine ecclesiale locale e di apertura ecumenica verso una comunione universale. Nella sua evoluzione, ha reso luoghi di pellegrinaggio non solo le mete tradizionali (Santiago, Czestochowa), ma anche le metropoli (Denver, Toronto) e luoghi non sacri come uno stadio, una spianata, una spiaggia (Rio de Janeiro). Le risultanti per una pastorale ordinaria convergono sulla valorizzazione del linguaggio simbolico che produce un impatto estetico ed emotivo caro alla sensibilità postmoderna, sulla prossimità corporea che attiva il livello comunitario, sulla presenza di segni, gesti, immagini, musica…

  1. La dimensione evangelizzante del pellegrinaggio

 Sono ugualmente da prendere in considerazione le possibilità che si aprono per coloro che non sono assidui nella pratica cristiana o che sono alla ricerca di quel Dio che non hanno trovato nella comunità e nei gruppi. «Per questi cristiani marginali rispetto alla religione di chiesa, il pellegrinaggio assume la forma postmoderna della ricerca di pienezza spirituale attraverso i segni del sacro e apre uno spazio di condivisione interpersonale con gli altri cercatori».[7] Per loro il pellegrinaggio si configura come eterotopia[8] valoriale, cioè luogo-altro, nel quale può risuonare la voce di Dio nel vivere elementi antropologici e spirituali ancestrali e che ritroviamo nella storia della salvezza non come semplici descrizioni di un vissuto, ma come evento salvifico (carattere nomadico e pellegrinante del popolo di Israele). Ci sono «spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».[9] Le strutture ecclesiali non sono mai state pensate solamente come «spazi», bensì come «luoghi». Luoghi di incontro, luoghi formativi, luoghi di socializzazione, luoghi di volontariato… In essi i cristiani hanno fatto esperienza di vangelo, si è «svelato» a loro, valorizzando le dimensioni della gratuità, del dialogo, della ludicità, del servizio. Da tempo altri «spazi» si sono affiancati e hanno sostituito quelli ecclesiali, non ultimi i «virtuali», pur conservando la medesima finalità relazionale e interattiva. Ciò significa che la potenzialità evangelizzatrice dei luoghi ecclesiali tradizionali va integrata con altri luoghi simbolici e capaci di eterotopia, come «luogo altro» del Regno.

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  1. La dimensione estetico-culturale

 Non è scontata la ripresa di una tradizione genuina capace di ridire il senso originario nonostante «…nel prossimo anno i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente l’esperienza giubilare».[11]

L’attività pastorale del pellegrinaggio si presenta ibrida nelle sue finalità e coinvolge differenti tipologie di soggetti, credenti e no. La deriva del pellegrinaggio è il turismo religioso, sempre più diffuso, che si caratterizza per una curiosità religiosa emozionale e sganciata da ogni riferimento al vangelo e all’azione salvifica di Gesù. Il turismo religioso sarebbe una forma di religiosità secolare à la carte, che «trasforma i santuari in depositi simbolici a cui attingere per costruire la propria identità cristiana, prendendo quanto corrisponde alla propria sensibilità religiosa»,[12] necessaria, tuttavia, per ricomporre la memoria culturale e l’appartenenza. Ha la potenzialità di aprire alla trascendenza e alla dimensione del «noi» come identificazione con un popolo e una cultura. Il riferimento culturale è molto vicino alla sensibilità odierna e il pellegrinaggio lo mette bene in evidenza. Sempre la Bolla di indizione del Giubileo afferma che il «pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità» (n. 5). Il frastuono e la complessità delle città fa emergere la nostalgia di spazi e di tempi a misura d’uomo. Il territorio italiano è attraversato da itinerari antichi e moderni, è costellato di santuari e luoghi sacri, di feste devozionali, di percorsi penitenziali che stanno rifiorendo nella loro funzione. Sono percorsi ed eventi che favoriscono un movimento lento, l’immersione nella natura, la valorizzazione dell’inedito e dell’essenziale, secondo la sensibilità moderna. Il paradigma culturale attuale vede con simpatia le ritualità del cammino perché è un processo che coinvolge il corpo e armonizza l’uomo con i ritmi della natura e del cosmo. Le forme nuove che rivalutano le dinamiche vitali, nella riscoperta di valori e di significati che la tecnica e la vita moderna hanno accantonato (dimensione naturalistica, sensibilità ecologica, movimento lento, esperienza del silenzio e dell’ascolto, pratiche meditative orientali, yoga …) sono opportunità per accompagnare la ricerca dell’homo viator affinché possa sentirsi anche homo religiosus.

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  1. Conclusione: dall’homo viator, all’homo religiosus, all’homo peregrinus?

 L’evento dell’anno giubilare coinvolge anche le parrocchie e l’attività pastorale. A partire dalla Bolla di indizione sono molteplici gli aspetti che possono essere valorizzati, perché quello che si può definire un evento ecclesiale di portata mondiale può avere delle ricadute nella pastorale ordinaria delle comunità. Sarà soprattutto l’aspetto liturgico-sacramentale a fornire le occasioni per una partecipazione attiva alla dimensione cattolica della Chiesa. Non mancheranno i momenti mediatici per «vedere» e «sentire» l’efficacia dell’Anno santo. Nelle diocesi saranno attivate iniziative e aperte «porte sante» in luoghi simbolici per coloro che non possono accedere agli spazi sacri per eccellenza. Le proposte tradizionali saranno affidate al pellegrinaggio organizzato, sia per l’aspetto religioso che per quello turistico. I due si sommano, spesso per invogliare i fedeli ma anche per dare una opportunità aggregativa e culturale ai partecipanti.

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L’intero articolo su Orientamenti Pastorali n.10(2024), EDB. Tutti i diritti riservati

[1] Francesco, Spes non confundit, Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, 9 maggio 2024.

[2] Br. John of Taizé, «The Experience of Welcoming in the Community of Taizé», in Pellegrini al santuario. II Convegno mondiale di pastorale dei pellegrinaggi e dei santuari, LEV, Città del Vaticano 2022, 107.

[3] Cf. M. Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Magnano (BI) 2000, pp. 41-56.

[4] Cf. C. Torcivia (a cura di), La fede popolare, EDB, Bologna 2023, pp. 25-41.

[5] Cf. Francesco, Evangelii gaudium, nn. 125-126.

[6] Cf. J. Ries, Mito e rito. Le costanti del sacro, Jaca Book, vol. II, Milano 2008, p. 30.

[7] A. Moro, Il pellegrinaggio come esperienza liminale della fede, CLV-Edizioni liturgiche 2021, p. 6.

[8] M. Foucault, «Eterotopie», in Id. Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, 3, Feltrinelli, Milano 1988, p. 307.

[9] Foucault, Eterotopia. Luoghi e non luoghi metropolitani, Mimesis, Milano 1994, p. 13.

[10] F. Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, Il Mulino, Bologna 2020, p. 89.

[11] Francesco, Spes non confundit, n. 5.

[12] A. Moro, Il pellegrinaggio come esperienza liminale della fede, p. 128.

[13] Cf. R. Otto, Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, Feltrinelli, Milano 1966, p. 17.

[14] Cf. Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su pietà popolare e la liturgia, 17 dicembre 2001, n. 286.

[15] «La vita è quel che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo» (F. Pessoa, Il Libro dell’inquietudine, Feltrinelli, Milano 2005, p. 98).