Domenico Sigalini – presidente del COP

Il coraggio della fede è spesso la resistenza dell’attesa. Il credente sa che Dio non lo abbandona, che Dio è fedele alle sue promesse. Il credente non perde la pazienza, sotto i colpi della prova sa sperare, sa guardare oltre, trapassa la depressione perché vede nel pianto il seme della gioia, vive una serenità difficile, ma consolante. I primi due capitoli del Vangelo di Luca ci aiutano a cogliere il punto di arrivo di una speranza di secoli, la speranza dell’umanità e ci permettono di definire i nostri sentimenti e atteggiamenti in preparazione del Natale.

Le attese dell’uomo sono tante, ma non tutte sono vere attese

Attende la mamma il suo bambino nella lunga gestazione, attende il ragazzo la sua ragazza all’uscita dalla scuola, attende il malato i risultati delle analisi, attende il giovane l’esito dell’ennesimo colloquio di lavoro, attendono i genitori che cigoli la porta di casa alle cinque del mattino per tirare un sospiro di sollievo: è tornato vivo! Attende il bambino il sorriso del papà al suo ritorno da scuola, attendono gli immigrati il permesso dopo aver ciccato sui computer il loro grido di aiuto in fila fin dalle prime luci del mattino; attendono gli affamati un pane, gli esiliati la patria, tanti bambini la pace e non la sanno nemmeno immaginare tanto sono abituati a vivere sotto i colpi dei mortai.

Non è attesa invece quella del terrorista che ha già la mano sulla cintura esplosiva o sul telecomando del detonatore, non è attesa quella del pedofilo che sta tirando le maglie dei suoi ricatti, non è attesa la lunga coda di automobili che dobbiamo subire ogni giorno per andare e tornare dal lavoro.

Attendere è sempre e solo essere orientati alla vita

E’ molto importante per l’uomo sapere verso chi è orientata l’attesa, perché l’attesa ha la capacità di tirarti dentro tutto, di trasformarti, di ridefinire la tua stessa identità, di farti crescere e di rimodulare la tua esistenza su quello che attendi. E’ una forza potente per concentrare energie, per dare organicità ai nostri molteplici impulsi, per canalizzare le qualità personali e di gruppo. E’ tanto vero che chi non aspetta niente, perde l’entusiasmo del vivere; si sente come un pacco postale spedito: già tutto è deciso, niente di nuovo, tutto ritorna come sempre.

In questo l’attesa assomiglia molto alla preghiera, alla supplica a Dio perché ci ascolti. Ma perché devo continuare a pregare Dio, quando Lui già conosce tutto? Non è Dio da convincere, ma sono io che nel desiderare, nell’attendere ciò che chiedo sono costretto a capire più in profondità la bellezza, l’importanza, la necessità della posta in gioco e sono aiutato a vagliare la domanda, a purificare le mie intenzioni, a tener conto di un progetto di mondo più ampio del mio piccolo interesse.

Attesa non è fare la spesa

Avvento è il tempo di attesa e di preparazione al Natale, è diventato il tempo dei regali, degli ingorghi di traffico nelle città, spesso degli scioperi, sicuramente dei mercatini e dei consumi. Le tradizioni nate da significati religiosi profondi sono a poco a poco diventate vere e proprie operazioni commerciali, tanto che oggi l’unico che viene dimenticato in questo incrocio di regali è proprio il festeggiato. E’ il classico caso in cui il consumo ha scippato il significato fondamentale della festa. L’attesa allora diventa soltanto fare la spesa: di regali, di emozioni, di buoni sentimenti. Non si tratta di scandalizzarci del consumo, ma di non perdere l’anima dell’attesa. Dobbiamo convivere con le abitudini e le operazioni commerciali con la capacità di guardare oltre.

L’attesa del cuore dell’uomo

Il vero significato dell’attesa cristiana va riportato al perché aspettiamo, al chi aspettiamo. C’è nel cuore dell’uomo una attesa di felicità e di salvezza, di senso e di speranza. Quello che il commercio mette in atto è solo un segno di una attesa profonda. Non serve scagliarsi con furore giacobino contro i sentimenti tenui, ma è necessario andare oltre per ritrovare la bellezza della nostra umanità e della ricerca esistenziale che la caratterizza. Tutti cerchiamo felicità, pienezza, appagamento, serenità e pace. Questa attesa scritta nelle nostre vite da sempre, raccontata dalle aspirazioni di popoli e profeti, di poeti e filosofi ha avuto una risposta: il bambino di Betlemme, il figlio di Maria, Gesù di Nazaret, il crocifisso e risorto, una vera alternativa a come e dove si erano attardate le attese della gente. C’è una attenzione al povero che non è occasionale, ma progettuale e fa parte del bilancio di famiglia; c’è una decisione di spiritualità che non è sentimentalismo, ma percorso di interiorità e di meditazione; c’è un commercio equo e solidale, che mentre ti permette di esprimere gratitudine fa crescere chi è nel bisogno; c’è possibilità di accoglienza che va oltre il gesto di compassione del momento; c’è una comunità in cui decidere di fare passi semplici, ma continui nella direzione del vangelo

Vivere la vita cristiana è allenarsi ad aspettare il nuovo, a bruciare i vecchi cassetti in cui collocheremo anche quest’anno Gesù; è mettersi di fronte all’imprevedibile e costringere la ragione, la vita, le cose, i nostri programmi, i piccoli e grandi progetti a lasciarsi ribaltare. Come fa l’amore, del resto. Aspettare Gesù è non scandalizzarsi del cambiamento, è staccarsi dalle sicurezze delle frasi rassicuranti che gelano ogni novità: ai miei tempi, abbiamo sempre fatto così, vogliamo solo stare in pace. Gesù invece vuole che proprio la pace sia un dono nuovo e travolgente, una dimensione della vita capace di sconvolgere le false sicurezze del quotidiano da routine. Aspettare è vedere nella vita un Dio che non ci abbandona mai.