Marco Gallo, docente di sacramentaria e liturgia a Fossano (ISSR), Torino (Università salesiana) e Parigi (Institut Catholique), direttore della Rivista di Pastorale liturgica (Queriniana)
- Un giubileo dedicato alla speranza[1]
La pandemia aveva appena esaurito la sua stagione più aggressiva ed erano ancora molto pesanti le sue conseguenze emotive, relazionali ed economiche, quando, l’11 febbraio 2022, il papa scrive a mons. Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, la lettera che annuncia il tema del giubileo ordinario del 2025. Il motto indicato, pellegrini di speranza, evoca pratiche giubilari tipiche (il pellegrinaggio) e insieme anticipa anche il tema dell’Anno santo. Si possono facilmente intuire le ragioni che hanno portato alla scelta della speranza come dimensione alla quale dedicarsi: dopo l’Anno della fede celebrato da Benedetto XVI (2012/2013) e il Giubileo della misericordia (2015/2016) su iniziativa di un appena eletto Francesco, per completare la terna delle virtù teologali restava la speranza. Evidentemente, però, più che per volontà sistematica, si tratta qui di un’urgenza percepita e condivisa.
- La pandemia: una lezione inutile?
«Un moscerino ha bloccato la macchina del mondo. Non quindi una bomba atomica, come si sarebbe potuto temere qualche decennio fa (e si potrebbe temere d’altronde anche ora). Eppure, gli effetti sono paragonabili»: così in una meditazione straordinaria e lirica,[2] il teologo e poeta francese François Cassingena-Trévedy ha descritto la pandemia. Si ferma tutto, o quasi. La produzione industriale, la socialità, la scuola, le liturgie religiose, gli spettacoli e lo sport. Anche quando si riprende, si devono osservare innaturali e rigide regole di distanziamento sociale: il contatto è proibito, radunarsi è pericoloso. Emergono lentamente i drammi che in tempi ordinari le relazioni sociali extradomestiche alleviano e si manifesta una diseguaglianza spirituale impressionante. Tante case sono troppo anguste, tante relazioni insopportabili, tante persone per età o condizione soffrono. Dalla fragilità umana «i medici non ci guariranno» (Pascal, Il mistero di Gesù): non è loro compito. Li abbiamo cantati come eroi, per poi smettere di sostenerli, e ora verso di loro si scatena persino un’incredibile violenza. Se è vero che «peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla», come disse Francesco nel giorno di Pentecoste del 2020, l’affanno di quei giorni che cosa ha lasciato?
In termini sociologici si sostiene che questo traumatico evento mondiale abbia fatto da acceleratore del fenomeno già in atto della secolarizzazione. Esso da solo non ha causato l’abbandono delle liturgie che oggi vediamo, ma certamente molti di quelli che erano presenti non hanno fatto ritorno nelle parrocchie in occidente.[3] Se qualcosa è rimasto, come indica la lettera del papa, è la percezione che l’uomo è essere fragile, che sa reagire al male in forma solidale se lo vuole, ma che può anche potentemente cadere vittima dello scoraggiamento. Di qui, forse, la decisione di porre al centro la speranza. Esattamente 13 giorni dopo la pubblicazione di questa lettera, sarebbe poi iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, con la guerra sul suolo europeo che ancora continua.
- Vivere è sperare
«Tutti sperano», scrive Francesco all’inizio della Bolla Spes non confundit (SNC). Il testo, pubblicato il 9 maggio 2024, risente delle ulteriori prove che l’epoca ha fatto registrare. In senso generale, certamente influisce l’aumentare violento dei conflitti armati; in ambito ecclesiale, si percepisce l’effetto linguistico del processo sinodale in corso sulla forma della Chiesa e il suo senso nel mondo. Tutti sperano, ma i cristiani e l’umanità in generale sembrano in debito proprio di ragioni per sperare, tentati da scetticismo e pessimismo, cioè dal pensare che nulla potrà offrirci felicità. Il papa indica allora il Giubileo come un’occasione opportuna, proprio perché la speranza, che è desiderio e attesa del bene, non si dà solo quando tutto va bene. Anzi, essa sorge anche nonostante l’imprevedibilità del futuro, perché è un atto connaturale con vivere umano. La sfiducia, infatti, manifesta il suo carattere di atto secondo, rispetto al venire al mondo con desiderio di bene e apertura alla felicità.
L’annuncio di salvezza consiste nel confermare questa originarietà della speranza e nel far risuonare la Parola: «la speranza non delude» (Rm 5,5)! Il fondamento dello sperare cristiano, infatti, è nell’azione di Dio che non ha posto condizioni alla nostra salvezza e la rinnova: la speranza si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità (SNC 5). Di fronte allo scoraggiamento, la proposta di pratiche di speranza giubilari.
- Di fronte al male, opere e canti di speranza
Una rilettura accurata della storia dei giubilei[4] ci testimonia la varietà di questa invenzione pastorale cattolica del II millennio. Attraverso questa vicenda, è possibile rileggere in filigrana tutte le questioni che agitavano e animavano la Chiesa in ogni epoca. Ne emerge il profilo di un’occasione che tante volte ha realmente dato voce alla fede del popolo, anche di fronte all’angoscia e al male. Con la coscienza che l’occasione e la pratica di dar voce è più fondamentale della sua necessità. Perché la lotta tra morte e vita passa sempre per il linguaggio.
Ugo di s. Vittore affermava, nella parte dedicata alla penitenza del De sacramentis christianae fidei, che il male ha bisogno di silenzio per esistere: «la malizia degli uomini è muta». Se gli abusi e le dittature censurano le parole, è vero anche il contrario: il bene insegna a parlare. Gli umani sanno cantare, scrivere, sognare, disegnare, pregare, gustare persino negli orrori.[5] Così è stato nei campi di concentramento, o a Kigali prima del massacro al machete, negli ospedali dei malati terminali, nelle carceri. L’essere umano di fronte al male sente che non è giusto ciò che sta capitando. Certo, non può gioire, ma nel suo lamento emergono graziosamente e sorprendentemente l’arte, la bellezza, la speranza.
- Accelerazione o pazienza? Il Dio che insegna il riposo
Sperare si manifesta subito come atto di resistenza al male, che Francesco legge nella forma delicata della virtù di pazienza. Si tratta di una forma di speranza particolare rispetto al nostro contesto sociologico. Il mondo dei consumi, infatti, vive 24/7[6] e accelera il suo tempo,[7] vorrebbe tradurre ogni atto nelle categorie del tutto e subito, vive in fretta e mette in fuga la calma, ricevendo in cambio nervosismo, violenza gratuita, insoddisfazione e chiusura. Ma il creato resiste e timidamente parla ancora la lingua della pazienza, dello stupore. E, con lui, tutta una serie di esperienze umane si offre, solo come pazienza e scelta di non essere di fretta: educare, amare, gustare, pregare, meditare. «Riscoprire la pazienza fa tanto bene a sé e agli altri» (SNC 4).
Il dato biblico[8] del Giubileo custodisce questa radice. Mentre, infatti, il faraone è il potere dispotico e distruttivo che comanda lo sfinimento del popolo, il Dio liberatore dell’esodo comanda il riposo settimanale, l’anno sabbatico e, nel cinquantesimo, il Giubileo in cui i debiti sono azzerati. Il faraone rende schiavi, il Giubileo restituisce le case e i campi agli spiantati, riequilibra i poteri, relativizza il valore mai assoluto della proprietà privata: avrebbe senso accumulare campi e edifici che poi torneranno ai loro proprietari? Non aver rispettato i giubilei è per i profeti una grave colpa che il popolo deve recuperare facendo riposare la terra durante l’esilio. Gesù, nel suo primo discorso pubblico secondo Luca, nella sinagoga di Nazaret cita anche questo «anno di grazia del Signore» (Lc 4,9) tra le opere che egli sta per compiere. La proposta cattolica di Giubileo ha tentato molto raramente di accogliere esplicitamente questo dato biblico – pensiamo alla campagna per l’azzeramento dei debiti dei paesi più poveri nel 2000. In questa prospettiva, Francesco coniuga la radice biblica in un senso ecologico integrale molto ampio, in un affresco dinamico composto da otto segni di speranza (SNC 7-15).
- La speranza esiste solo come azione
Immaginare il Giubileo come una pratica di speranza che sottragga gli individui alla sfiducia si concretizza per il papa nei seguenti segni di speranza:
- Il sogno della pace introdotto come resistenza alla tragedia della guerra.
- Il desiderio di fecondità che vince il calo della natalità.
- La volontà di reinserire chi si è perso, citando per primi «i detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto».
- Il risvegliare gratitudine con una cultura di prossimità agli ammalati.
- L’aiutare l’entusiasmo dei ragazzi, degli studenti e delle giovani generazioni, come cura al crollo dei sogni dei giovani, tentati da malinconia, noia ed effimero autodistruttivo.
- Il permesso di un futuro migliore aperto a esuli, profughi e rifugiati.
- I sogni degli anziani, vincendo insieme solitudine e senso di abbandono.
- Le enormi risorse del mondo ridistribuite per dare speranza ai miliardi di poveri, vittime e non colpevoli della loro situazione.
Nominando questi segni, si crea un affresco che non tace i gorghi del nostro tempo, ma ne indica anche le luci. La Chiesa è chiamata a un atto di fede molto esplicito e insieme non è tratta fuori dal mondo ma profondamente inserita nella storia degli uomini. Si potrebbe dire che si sente risuonare il senso di GS 1: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.
- La sfida pastorale
Perché la pastorale nell’Anno giubilare non si risolva nel preparare e organizzare pellegrinaggi a Roma, occorre entrare solidamente nella sfida. Indicherei almeno quattro dimensioni che mi sembrano utili:
- Procurare e curare occasioni di catechesi tematica.
- Discernere alcune opere giubilari concrete, a partire dagli otto segni di speranza indicati da SNC.
- Tentare un rinnovamento delle pratiche rituali.
- Coraggiosamente vivere la preparazione, lo svolgimento e la cura del pellegrinaggio a Roma.
- Predicare la speranza
La bolla di indizione del Giubileo indica chiaramente la Lettera ai romani come testo sorgivo per l’annuncio. Come spesso fa il magistero, la proposta non limita al testo adottato ma inizia una riflessione che facilmente si può ampliare. Il tema della speranza è capace di diventare un primo annuncio e una rilettura esistenziale molto preziosa.[9] Un ciclo di catechesi può strutturarsi attorno al tema del giubileo nella Bibbia, sul tema della salvezza dal male e, appunto più precisamente, sulla speranza. L’enciclica di Benedetto XVI del 2007, Spe salvi, è un testo ancora molto interessante per la sua articolazione ampia e si presta a essere facilmente ripreso e riproposto. Segnaliamo in particolare i tre «luoghi di apprendimento ed esercizio della speranza» da lui indicati come: preghiera, agire-soffrire e giudizio finale (32-48). Il magistero di Francesco ha offerto significative integrazioni a questo filone, nella dimensione dell’ecologia integrale (Fratelli tutti e Laudato si’).
- Un discernimento sinodale: quale segno di speranza poniamo noi?
Le comunità possono poi essere sollecitate dalla lettura comune e approfondita dei numeri 7-15 di Spes non confudit. Come abbiamo visto, queste opere/segno di speranza interrogano noi cristiani sul senso della nostra presenza sui territori, in mezzo alle altre donne e uomini con cui viviamo. Ogni opera è fondamentale, ma non tutto si può cambiare insieme: su quale aspetto come comunità cristiana sentiamo di doverci mettere in cammino? Da che cosa cominciamo? Dalla preghiera per la pace e dall’educazione a vivere meglio i conflitti? Dalla cura dei giovani o degli anziani? Da attività per i detenuti del nostro territorio? Dal dare sollievo e aiuto a chi ha appena generato dei bambini? Da un’opera segno per i poveri o i migranti?
Sarebbe importante fare tesoro del maturare odierno della sensibilità al metodo sinodale di conduzione della pastorale. Il metodo della conversazione spirituale[10] adottato durante il Sinodo dei vescovi del 2023 si offre come molto adeguato. Dopo aver letto personalmente o insieme il testo e precisato molto bene la questione offerta al discernimento, va formulata con molta chiarezza una domanda (che può essere ad esempio: «Quale segno di speranza lo Spirito chiede di scegliere a noi nel nostro territorio come comunità cristiana?»). A ciascuno dei presenti, organizzati in piccoli gruppi, è dato un tempo preciso da non oltrepassare mai e nel primo giro ognuno condivide e tutti ascoltano senza mai interrompere e se vogliono prendendo appunti. Segue un tempo di silenzio in cui tutti sono invitati a cercare che cosa li ha colpiti. Un secondo turno di parola fa emergere che cosa li ha colpiti, senza obbligo di parlare o necessità di iniziare una discussione, cercando piuttosto che cosa unisce i presenti, in ascolto dello Spirito. Dopo un ulteriore tempo di silenzio, in cui ognuno cerca degli elementi chiave emersi, si conclude cercando se possibile un punto comune e pregando insieme.
- Celebrare il cambiamento
Proprio del Giubileo è l’aiuto alla pratica della virtù di penitenza. Per virtù di penitenza si intende tutta quella dinamica che permette agli umani di lottare contro la colpa e il vizio personale e comunitario. Per s. Tommaso la virtù di penitenza è in realtà un coro di virtù: per uscire dal male serve, infatti, temperanza, fortezza, prudenza, giustizia, fede, speranza, carità. A servizio di questa virtù sta l’iniziazione cristiana, l’educazione e l’accompagnamento spirituale. E, soprattutto, sta il quarto sacramento della confessione con le altre opere rituali di conversione: la quaresima, le preghiere, i digiuni, gli esercizi spirituali, i programmi terapeutici mirati, i pellegrinaggi.
Nelle comunità ci si interrogherà sul modo in cui è proposto e vissuto il sacramento della penitenza.[11] In merito, celebrazioni penitenziali comunitarie, pur non secondo la III forma prevista dal rituale con l’assoluzione ma non ritenuta opportuna in contesto italiano, possono realmente aiutare in modo sinergico la riscoperta del rito secondo la I forma, quella individuale. La disponibilità all’ascolto è davvero un atto di misericordia e servizio costoso e delicato da parte dei ministri ordinati: lo facciamo abbastanza e in luoghi e momenti in cui è utile alla comunità?
Solo entrando con un po’ di profondità in merito al rapporto tra perdono di Dio e pratica faticosa della vittoria della colpa e delle sue conseguenze, si potrà credibilmente presentare il tema delle indulgenze.[12] La bolla di indizione non si impegna, come si fece, pur con difficoltà, in occasione del Giubileo del 1975 e del 2000, a riscriverne il senso. Dispiace la leggerezza con cui è spesso trattata, sia da chi le ripropone senza lavorare con attenzione al loro rapporto con la penitenza, sia da chi semplicemente ne tace. Le indulgenze sono un atto che testimonia il carattere sempre anche collettivo del peccato, e la dimensione anche sempre comunitaria della solidarietà verso chi ha sbagliato e cerca di uscire dal male. La conversione è più che faticosa: le indulgenze (come rito!) ne dicono la verità graziosa e aperta.
- Roma
A differenza del Giubileo straordinario del 2015/2016 non sono previsti, per questa edizione, luoghi di pellegrinaggio giubilare nelle chiese locali: il ruolo della città di Roma torna nella sua unicità simbolica. Ricordiamo che il pellegrinaggio a cui si è chiamati è ad limina apostolorum, alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, più che per celebrare un rito con il papa: prova di questo è il fatto che i giubilei del tempo avignonese si svolsero comunque nell’Urbe e mai presso la residenza pontificia.
Le tante occasioni di pellegrinaggio a Roma vanno certamente valutate, preparate e poi vissute con attenzione. Il post-moderno prova fascino per il tema del pellegrinaggio, ma ne scambia spesso le dinamiche nel senso spesso narcisistico della ricerca di sé, della prova emozionante o del turista comodo. In questo contesto mi sembra importante far precedere l’invito da una catechesi che predisponga a mettersi in cammino per accompagnare un cambiamento vero,[13] a servizio di quei segni di speranza che abbiamo più volte citato. Il pellegrinaggio tocca una delle dimensioni proprie della fede ebraico-cristiana, nella sua identità di cammino, valorizzando la fatica del corpo che cammina.
Come espressamente indicato in SNC in Roma[14] sono previsti percorsi di spostamento a piedi, di ingressi nei luoghi nevralgici della memoria e del culto, le porte giubilari e i riti a esse connessi. Sarebbe utile che le diocesi e le parrocchie curassero in modo molto peculiare la dimensione del camminare, per quanto possibile insieme, dei pellegrini, magari con dei giorni di avvicinamento a piedi all’Urbe quando si può. O almeno compiendo dei tratti attraverso la città.
- Conclusione
Scrive Francesco in SNC 3: «La verità si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità, e così permette di andare avanti nella vita. Sant’Agostino scrive in proposito: “In qualunque genere di vita, non si vive senza queste tre propensioni dell’anima: credere, sperare, amare”». L’occasione e il tema del Giubileo si prestano con grande profondità al lavoro pastorale delle nostre comunità, per rinnovare il senso della loro presenza, forse più sobria e finalmente umile, nel territorio.
Sale e luce, così ci chiamò il Signore.
Tratto da Orientamenti Pastorali 11(2024), EDB. Tutti i diritti riservati.
[1] Mi permetto di rimandare al mio piccolo testo: M. Gallo, Adesso non domani. Il giubileo della speranza, EMP, Padova 2024.
[2] F. Cassingéna-Trévedy, «Insegnamenti teologici e spirituali di una crisi sanitaria», in Rivista di Pastorale liturgica, marzo 2021, edizione solo digitale fuori serie, pp. 54-64, reperibile online qui: https://bit.ly/3YU2g0t.
[3] Lo studio sulle cifre: Luca Diotallevi sembra dimostrare che in realtà si tratta della continuazione coerente dello stesso trend di abbandono: cf. L. Diotallevi, La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2024.
[4] A Melloni, Il giubileo. Una storia, Editori Laterza, Bari 2015; A. Abruzzese – A. Pollarini (a cura di), Giubilei. Spiritualità, storia, cultura, Utet, Torino 2016 e L. Scaraffia, Il giubileo, il Mulino, Bologna 1999.
[5] F. Poulet, «Face au mystère du mal, la liturgie eucharistique: sommet de la vie éthique?», in Revue des sciences religieuses, 1-2(2019), pp. 55-70.
[6] Illuminante J. Crary, Il capitalismo all’assalto del sonno, Einaudi, Torino 2015.
[7] H. Rosa, Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi, Torino 2015: la critica è alla società dei consumi, posta su una china scivolosa, di una carestia di tempo, che è norma sociale prevalente. L’effetto è alienante, che si manifesta in un grave difetto di coscienza. Si annuncia la necessità di oasi di decelerazione.
[8] R. Cavedo, «Anno sabbatico e giubileo nell’Antico Testamento», in La Rivista del Clero italiano, 9(1998), 566-573 e G. Ravasi, Il significato del Giubileo. L’anno santo dalla Bibbia ai nostri giorni, EDB, Bologna 2015.
[9] Per continuare la riflessione sul tema della speranza si può utilmente tornare a: Benedetto xvi, Spe salvi. Lettera enciclica sulla speranza cristiana, LEV, Roma 2007. Si veda anche il commento all’enciclica di G. Ancona, Sperare. Una scommessa di libertà, Queriniana, Brescia 2018. Magistrale è ancora: J. Moltmann, Nella fine l’inizio. Una piccola teologia della speranza, Queriniana, Brescia 2004
[10] Si veda l’ottima scheda predisposta in occasione del sinodo universale dei vescovi sulla sinodalità nella fase 2021-2023: https://bit.ly/40HXcOd (accesso il 2 ottobre 2024).
[11] Recente e molto significativo è il numero 3 del 2024 di Rivista di pastorale liturgica dedicato a Il rito e la penitenza. Segnaliamo anche una proposta rituale pubblicata dalla stessa rivista nel 2021 nel numero digitale già indicato, che è adottabile e piena anche omettendo l’assoluzione comunitaria, a quel tempo eccezionalmente permessa da alcune conferenze episcopali regionali.
[12] Si vedano: K. Rahner, «Trattatello teologico sull’indulgenza», in Id, La penitenza nella Chiesa. Saggi teologici e storici, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1992, pp. 171-193. A. Catella – A. Grillo, Indulgenza. Storia e significato, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2015. B. Sesboüé, La questione delle indulgenze. Una proposta alla Chiesa cattolica, EDB, Bologna 2017.
[13] Utili letture possono essere: A. Grün, In cammino. Una teologia del peregrinare, EMP, Padova 2005. P. Asolan, Il santo viaggio. Appunti di pastorale del pellegrinaggio, Lateran University Press, Roma 2013. Si veda anche il numero monografico di Orientamenti pastorali, n.10 del 2024 dedicato proprio al tema del pellegrinaggio.
[14] È ancora valida e utile questa breve guida ai luoghi fondamentali di Roma in cui vivere il Giubileo: A. Lonardo, La Roma del Giubileo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2015.