Giacomo Ruggeri – pastoralista

La cultura vocazionale in Italia è, da tanti anni, in un vicolo stretto. L’alfabeto e la grammatica del dono di sé a Dio, con una scelta di consacrazione, hanno perso il loro mordente e la loro presa. È un linguaggio di nicchia, quello vocazionale, sempre meno trafficato nella catechesi, nelle omelie e sempre più delegato a persone referenti e ambienti (es. il Seminario, dove è aperto). In famiglia, in casa la parola vocazione è silenziata, perché non interessa o perché è ‘affare’ del figlio/a o perché preme la loro realizzazione.

Il concetto «chiamata di Dio» e la dopaminizzazione digitale

L’agire di Dio nel cuore di ogni persona travalica, senza dubbio, qualsiasi algoritmo e qualsiasi confine creato dal reticolato dell’infosfera. Il buon Dio sa come parlare, arrivare, atterrare, dimorare, infiammare il germe del dono di sé in ogni uomo e in ogni donna. La sua fiducia sulle persone è, certamente, elevata. Non è più così scontato, invece, il suo contrario: ovvero, la fiducia delle persone in Dio. Tale processo, ovviamente, non è di ieri, ma affonda le sue radici in molteplici cause, in plurime motivazioni, in affastellate conseguenze. Un ruolo primario, nel vero senso della parola, lo sta giocando da decenni il digitale e il variegato pianeta di internet. La crisi vocazionale e inversamente proporzionale al tecnologismo. L’eccessiva fiducia riposta nella tecnologia ha preso il posto dell’affidarsi (e del fidarsi) a Dio. Il concetto di «chiamata di Dio» (un’espressione popolare parlata anche nel bar, tra il faceto e il serio) è obnubilata dall’attesa snervante dell’essere chiamati, cercati, notificati, gratificati dalla filiera dei social e dei loro fidi scudieri, creati per dopaminizzare qualsiasi vuoto. Ritengo che ad un crescente aumento della potenza e della pervasività del pensiero digitale corrisponda una forte decrescita, sino all’essere silenziato, del pensiero sul senso della vita e, in ottica prettamente vocazionale, a chi voglio affidarmi. Internet ha rimodulato le domande su di sé e del sé: da cosa voglio fare da grande, a chi voglio essere da grande.

Gli effetti a breve e a lungo termine del pensiero digitale sulla vocazione

“Ho tutto nel cellulare”. È una frase di una dirompenza estrema. Nel senso reale del termine: che ha spaccato e rotto quei legami che, sino a qualche decennio fa, avevano ancora un loro perché e una loro incisività sulla vita di adolescenti e giovani. L’adagio di Teresa d’Avila “chi ha Dio nulla gli manca” è stato impiantato dai Ceo delle Big Tech[1] nel pensiero sottocutaneo di ogni profilo social che alberga nel cellulare, rimodulandolo in “a ciò che ti manca penso tutto io, non ti preoccupare, don’t worry”.

Effetti a breve termine:

  • piacere e gratificazione immediata annullano ogni domanda sul senso della vita;
  • la cura manicale del proprio profilo social è il piccolo mondo dove navigare;
  • follower, like, consensi sono il pane quotidiano che alimenta la dose di dopamina di cui ho bisogno ora dopo ora, trovando piacere e felicità nel suo aumentare, senza esserne mai sazi (perché internet sono io);
  • perché chiedermi “cosa Dio vuole da me?”, quando ho tutto ciò che mi serve per sapere cosa voglio fare e, soprattutto, chi voglio essere con il mio cellulare.

Effetti a lungo termine:

  • l’elevata fiducia nella tecnologia è una scelta di campo dell’era della tecnologizzazione;
  • “sentivo che avevo tutto, ma avvertivo un vuoto in me”: è una frase che sovente ricorre nelle testimonianze di persone che si consacrano a Dio in uno stato di vita (sacerdote, monaca, missionaria, ecc.). Ebbene, tale espressione oggi trova sempre meno aderenza perché la cultura del tecnologismo mira, tra molteplici obiettivi, a sostituirsi a quei vuoti e prontamente tacitati con gratificazioni digitali e epidermiche realizzazioni di se stessi;
  • la rapidità del pensiero digitale ha, nel suo intento, di far perdere il gusto dell’interiorità, del mostrare il silenzio come nemico a fronte di un aumento di rumori creati appositamente per distogliere dalle domande fondative, perché internet vuole dare risposte e non creare domande;

Ribadendo le sorprese di Dio nell’agire nel cuore di ogni persona, per suscitare il dono di sé in una scelta vocazionale, sono innegabili effetti e conseguenze del pensiero digitale, e i primi passi dell’IA, sull’indebolita cultura vocazionale. Formazione, studio, aggiornamento teologico e ri-generazione di una nuova grammatica del senso i sé e della vita, sono necessarie.

Tratto da Orientamenti Pastorali n. 3(2025). EDB. Tutti i diritti riservati.

[1] Mark Zuckerberg (Meta), Jeff Bezos (Amazon), Sundar Pichai (Google), Elon Musk (X, Space X, Tesla), Steve Jobs (Apple), Steven Anthony Ballmer (Microsoft) successore di Bill Gates.